Per chi pensa che i mercati finanziari siano mossi da forze oscure o chissà da quali algoritmi, basti osservare il grafico sotto. Sull’asse destro ho messo il tasso di crescita del PIL reale degli Stati Uniti su base annua, mentre sul sinistro il tasso di crescita degli utili, sempre su base annua, delle aziende dello S&P 500. È evidente la perfetta sincronia dei due indicatori. Il PIL cresce quando le aziende producono più utili e viceversa. In altre parole, gli utili aumentano perché le aziende alzano il livello della produzione (PIL) e degli investimenti (I), stimolate dall’incremento dei consumi (C), mentre lo Stato, incassando di più, ha maggiori margini qualora volesse espandere la spesa pubblica (G). Lascio da parte le esportazioni nette (NX), perché il discorso è più controverso e merita una trattazione a parte. Per il resto ho riproposto la famosa equazione del prodotto interno lordo: Y = C + I + G, dove, in equilibrio, la produzione aggregata è uguale alla domanda aggregata.
Alla fine, sono sempre i fondamentali che determinano le fasi di espansione e contrazione di breve periodo, perché nel lungo periodo l’economia ritorna sempre al suo livello di equilibrio naturale. Ma poiché, proprio come diceva Keynes, nel lungo periodo siamo tutti morti, gli sforzi degli economisti si devono concentrare per rallentare, diminuire o evitare le fluttuazioni cicliche che (anche se fisiologiche) possono creare tanto disagio alla popolazione. Non esiste una formula magica, ma le armi della politica economia, intesa come politica fiscale e monetaria, sono più che sufficienti, sempre se vengono usate nella giusta misura e senza interferenze di natura politica. Bisogna essere ottimisti perché oggi gli economisti, ricchi delle esperienze delle recessioni passate, sanno come muoversi e hanno a disposizione un’enorme quantità di dati macroeconomici a cui attingere. Molti si chiedono perché, allora, non è stata ancora sconfitta l’inflazione nonostante l’intervento massiccio della politica monetaria. La risposta è semplice: ci vogliono il tempo necessario e un coinvolgimento della politica fiscale, senza farsi condizionare dallo spauracchio della monetizzazione del debito pubblico. La sfida è ardua e ancora non è stata vinta, ma la via è quella giusta.