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Si parte in data odierna con un rimbalzo in esaurimento nel dopo FED. Come da attese sono stati alzati i tassi di 25 punti base con gli esponenti del board della Federal Reserve che prospettano ancora un aumento del costo del denaro entro fine 2023.
Entro fine anno, l’inflazione core dovrebbe attestarsi al 3,6%, per poi passare al 2,6% nel 2024.
Solo ieri ci si chiedeva se la Fed avesse intenzione o meno di confermare le aspettative di taglio dei tassi al fine di sostenere il mercato obbligazionario o combattere l’inflazione deludendo forse i mercati mostrandosi nuovamente “falco”.
Oggi l’azione attuata dalla FED è nota ma negli ultimi 10 giorni il mercato obbligazionario ha prezzato il non aumento dei tassi o anche un taglio sui fondi federali e una serie successiva di tagli dei tassi entro la fine dell'anno.
Fino a ieri il Fed funds a termine era pari o inferiore al 4,875%, mentre il tasso di fine anno era di circa il 4,00%, ovvero con un potenziale allentamento di 80-100 punti base fino a dicembre. Questa aspettativa ha contribuito a sostenere azioni e obbligazioni negli ultimi giorni e di conseguenza, le dichiarazioni di ieri provenienti dal FOMC, ci inducono ad aspettarci una rinnovata volatilità.
Nel quadro attuale i dati relativi all'inflazione e al mercato del lavoro portano la Fed alla ricerca di strategie alternative per rallentare l'economia.
Ad oggi è difficile stimare i danni ancora nascosti legati alla crisi delle banche regionali: non ci è dato sapere se sta covando una crisi sistemica o sono semplici casi isolati da mala gestio.
Ciò che è certo invece è che la Fed non vuole essere ricordata come la BCE, che ha alzato i tassi nel giugno 2008 solo per cambiare idea da lì a poco e tagliarli drasticamente per attutire gli effetti della crisi finanziaria... ma con estremo ritardo!
La storia recente delle riunioni FOMC non è stata delle migliori per i mercati che già tre volte nell'ultimo anno, hanno spinto il piede sull’acceleratore in prossimità di tali incontri per poi essere fortemente delusi. Sembra dunque che i movimenti rialzisti vissuti a sprazzi dal 2022, siano pura aspettativa sostenuta da notizie confortanti, ma le azioni poi intraprese dal board raccontano un’altra verità!
Lo scorso maggio, le azioni sono salite alla riunione del FOMC di giugno sull’aspettativa di un "Fed Pivot", ma quelle speranze sono state deluse dal rapporto sull'IPC e l'S&P500 è sceso di oltre il 10% in meno di due settimane.
Poi, ad agosto, gli indici statunitensi sono saliti nuovamente per il discorso di Jackson Hole intrattenuto dal presidente Powell nella speranza che si annunciasse una svolta monetaria. Invece, l’approccio “falco” è stato confermato e l'S&P500 è sceso di quasi il 10% in meno di due settimane.
Infine, a dicembre, l'S&P500 è salito in prossimità del FOMC sulla speranza che il tasso a termine rimanesse al di sotto del 5%... ma non è stato così e l'S&P 500 è sceso di oltre il 5% alla fine dell'anno!
Powell, ha dichiarato che l’opzione di non aumentare il costo del denaro per via delle turbolenze che hanno colpito le banche è stata considerato nel board, ma gli effetti dell’inflazione rappresentano il maggior danno potenziale da gestire e dunque per quest’anno si ritiene che non ci saranno tagli del costo del denaro.
Lagarde, lato BCE, ribadisce l’adozione di “un approccio robusto” per mitigare i rischi di inflazione visto che ad oggi non ci sono segnali di un trend ribassista.
Il comparto bancario attira i riflettori del board europeo, per comprendere se gli istituti di credito stiano diventando più riluttanti a concedere prestiti.
La necessità di alzare i tassi viene espressa anche da Nagel, presidente della Banca centrale tedesca, per il quale la BCE dovrà continuare con determinazione il percorso intrapreso per far fronte all’inflazione. Inoltre Nagel ha sottolineato che una volta raggiunto il picco del costo del denaro, questo andrà mantenuto senza rapidi tagli.
Dunque, occhio alle aspettative e alle delusioni, le prossime settimane possono essere estremamente calde!
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