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Tranquillità…Turchia a parte…

Pubblicato 07.08.2018, 10:08
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

Martedì 7 Agosto

Mentre i volumi si inaridiscono giorno per giorno, la price-action perde progressivamente di direzionalità. Si fa onestamente anche più fatica ad estrarre una narrativa che descriva con una certa coerenza il comportamento del mercato.

Ieri la sessione è risultata tranquilla perlomeno in relazione ai recenti temi caldi. I governativi italiani hanno dato qualche cenno di ripresa (una manciata di punti base), consolidando il recupero di venerdì pomeriggio, forse aiutati alle dichiarazioni del ‘pompiere’ Tria secondo cui i piani di spesa discussi sarebbero compatibili con i target europei (come lo possano essere la flat tax e il reddito di cittadinanza lo scopriremo solo vivendo…).

Lo yuan si è stabilizzato a una certa distanza dai minimi toccati venerdì mattina, pur senza riuscire a costruire un recupero significativo sulla misura macroprudenziale per difendere la valuta (riserva obbligatoria sui forward) imposta dalle autorità, mentre l’azionario cinese (Shanghai Composite) ha messo a segno un corposo rimbalzo (+1.5%) che ammorbidisce al margine la recente sanguinosa striscia negativa (aveva perso 7.1% nelle 8 sessioni precedenti).

I titoli tecnologici hanno moderatamente sovra-performato il resto di Wall Street (S&P 500 +0.3%, Nasdaq +0.6%). Il tutto con le curve dei tassi in leggera discesa e il rendimento del 10Y Treasury che mantiene un certo margine (2.94%) rispetto alla temuta soglia psicologica del 3%.

L’elemento forse più notevole del quadro generale è la rimarchevole resilienza dei mercati azionari, soprattutto quello americano, anche al cospetto di una retorica protezionistica tra Stati Uniti e Cina che non accenna a moderarsi.

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La chiusura del CBOE Volatility Index di ieri (11.27) è la più bassa dalla mini-crisi di inizio febbraio.

Anche la price-action nel mondo del credito è coerentemente benigna: lo spread della carta speculative (5Y CDX HY spread) è sceso a 325bp, il punto più basso da fine febbraio.

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La tranquillità non è una caratteristica che ha invece baciato i mercati turchi.

Le perdite della valuta anatolica, riprese con vigore il 24 luglio quando, contrariamente ad un consenso di 100bp di rialzo, la CBoT aveva lasciato i tassi invariati ed alimentate successivamente dal confronto a muso duro con gli Stati Uniti sul mancato rilascio di del pastore americano Andrew Brunson ritenuto una spia, hanno ieri raggiunto un momento di estremo parossismo.

Il movimento, certamente esacerbato dalla mancanza di liquidità essendo arrivato dopo la chiusura del mercato locale (ed europeo), ha visto la lira turca perdere fino a più del 6% di giornata (il massimo del USD/TRY toccato in serata è stato 5.42!).

A quei livelli le perdite avrebbero quindi raggiunto il -26% da inizio anno e -14% dalla malaugurata decisione della banca centrale di un paio di settimane fa.

Questi drammatici numeri includono anche il beneficio del corposo carry fornito dagli elevatissimi tassi di interesse (il 2Y viaggia ora sopra quota 20% e il 10Y sopra 18%).

Siamo insomma in clima di crisi valutaria.

Qualche arma tattica per calmierare la situazione, che presenta indubbiamente le caratteristiche di un ipervenduto di breve, è in realtà a disposizione di Erdogan: trovare il modo di accontentare Trump con il rilascio di Brunson senza perdere la faccia (come si era riusciti a fare più di un anno fa in occasione della disputa sui visti di ingresso) e, in seconda analisi, dare luce verde per un rialzo emergenziale dei tassi.

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Sarebbero comunque palliativi rispetto una situazione economico-finanziaria sempre più precaria, in un contesto geopolitico indubbiamente complesso, in cui i sottoprodotti negativi dell’autoritarismo sempre più sfrenato del Sultano, stanno iniziando a chiedere un conto sempre più salato.

Da questi livelli estremi non si può comunque escludere un recupero del 5%-8% della valuta nel breve periodo.

Mentre scrivo viene riportata la notizia secondo cui una delegazione di diplomatici turchi si recherebbe a Washington entro un paio di giorni e una sorta di pre-accordo sarebbe stato raggiunto: USD/TRY a 5.24 (recupero del 3+% dagli estremi di ieri sera).

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Prossime settimane.

Il JCI Daily tornerà tra un paio di settimane.

Ho spulciato il calendario per vedere cosa c’è di interessante in agenda.

Praticamente nulla sul fronte del poicy making, avendo lasciato da poco alle spalle le riunioni di Fed, ECB, BoJ e BoE: giovedì 9 la RBNZ lascerà con ogni probabilità i tassi invariati a 1.75%.

Qualche highlight dal calendario macro. US: CPI venerdì 10 e vendite al dettaglio mercoledì 15.

Europa: crescita GDP UK venerdì 10. Cina: bilancia commerciale mercoledì 8, CPI giovedì 9, IP/vendite al dettaglio/investimenti fissi martedì 14.

Giappone: crescita GDP venerdì 10.

Siamo già a quasi un terzo del mese di agosto e per ora i temuti fantasmi (stile 2015) non si sono materializzati, tranne che in qualche caso circoscritto.

Ovviamente l’assenza di catalizzatori annunciati in agenda non è assolutamente garanzia di tranquillità acquisita, specialmente nel mondo di twitter e del costante flusso di headlines inattese che colpiscono i nostri schermi.

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