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USA: gli anticipatori del ciclo economico indicano probabile una recessione

Pubblicato 31.05.2023, 08:35
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

L'attività economica USA ha continuato a crescere nel corso del 1Q23, nonostante l'inasprimento delle politiche monetarie e gli shock geopolitici. La stabilizzazione dell'attività manifatturiera globale può essere almeno in parte ricondotta al rimbalzo della riapertura della Cina, mentre il forte calo dei prezzi dell'energia ha dato una spinta ai consumi globali. Anche i mercati del lavoro, storicamente rigidi, stanno contribuendo in modo significativo alla forza economica.
 
Eppure, anche se l'economia appare resiliente, gli indicatori anticipatori segnalano con forza una recessione. Il modello di recessione della Fed di New York per esempio suggerisce che la probabilità di recessione nei prossimi 12 mesi in USA è la più alta dai primi anni ottanta. Fra tutti un indicatore di recessione storicamente affidabile: la curva dei rendimenti che rimane profondamente invertita. Non solo l'inversione della curva a 2 anni e 10 anni è sostanziale e sostenuta, ma anche altri segmenti della stessa sono invertiti, come per esempio quelli a 3 mesi e 1 anno, che è tipicamente coerente con il rischio di recessione entro un periodo di 12 mesi.
 
Probabilità di recessione negli USA dal 1960
 
 
Gli indicatori anticipatori stanno rilevando sviluppi preoccupanti nei dati economici sottostanti. I risparmi accumulati durante la pandemia e che hanno sostenuto i consumi, sono in via di progressivo esaurimento. Il credito potrebbe certo sostenere i consumi, ma le banche hanno ridotto le linee di credito alle famiglie.
 
I mercati del lavoro rimangono molto forti e il tasso di disoccupazione USA, pari al 3,4%, continua a stazionare vicino ai minimi da 50 anni. Con quasi due posti di lavoro vacanti per ogni lavoratore disoccupato, i datori di lavoro segnalano notevoli difficoltà nel coprire le posizioni disponibili, mantenendo una pressione al rialzo sulla crescita dei salari. La solidità dell'occupazione e la crescita dei salari sono stati i principali fattori di traino dei consumi.
 
Tuttavia, le recenti turbolenze nel settore bancario suggeriscono che la forza del mercato del lavoro sarà di breve durata. Le piccole banche rappresentano il 30% di tutti i prestiti dell'economia statunitense e con molta probabilità le banche in difficoltà (più o meno dichiarata) impiegheranno diversi trimestri per risanare i propri bilanci, il che implica un inasprimento degli standard di prestito sia per le imprese che per le famiglie. Riteniamo che questo porterà ad una maggiore perdita di posti di lavoro, un affievolimento della crescita dei salari, un indebolimento della spesa dei consumatori e, in ultima analisi, a una maggiore probabilità di recessione.
 
Per quanto riguarda l’inflazione, è indubbio che sia in flessione. Ma la decelerazione è stata in gran parte determinata dall'esaurimento del picco dei prezzi dell'energia dello scorso anno. Tanto è vero che l'inflazione di fondo non solo rimane fastidiosamente alta ma continua pure a salire. Inutile girare intorno al problema: il dato generale sull'inflazione del 1Q23 e dei mesi successivi ci dice che la FED (ma anche la BCE) ha fatto meno progressi verso la disinflazione di quanto sperasse. Negli USA l'inflazione dovrebbe rallentare ulteriormente nel corso dell'anno, ma solo molto lentamente (è il problema del “last mile” che abbiamo più volte messo in luce).
 
L'inflazione dei servizi di base al netto delle abitazioni, su cui Powell ha richiamato l'attenzione, è strettamente correlata alla crescita dei salari. Per attenuare queste pressioni saranno quindi necessari un rallentamento dell'attività economica e un mercato del lavoro meno rigido.
 
Con il probabile inizio della recessione, che stimiamo a cavallo tra il terzo e il quarto trimestre del 2023, l'inflazione rallenterà la corsa ma resterà al di sopra degli obiettivi della FED, complicando le decisioni politiche. Infatti, se da un lato l'attenzione alla stabilità dei prezzi può giustificare un ulteriore inasprimento monetario, dall'altro potrebbe portare ad un'ulteriore instabilità finanziaria. Per la FED si ripropone quindi il dilemma se stroncare l’inflazione sacrificando la crescita economica, oppure accettare una crescita dei prezzi superiore all’obiettivo e pilotare il sistema economico verso un soft landing.
 
I recenti fallimenti bancari che hanno mandato in tilt il settore finanziario e sottolineato la necessità per la FED di concentrarsi maggiormente sull'aspetto della stabilità finanziaria del loro mandato, le aspettative sui tassi si sono notevolmente ridimensionate rispetto alla fine di marzo. I mercati ora non prevedono ulteriori rialzi della FED ma anzi si aspettano almeno due tagli entro la fine dell’anno. In effetti se guardiamo il comportamento dei Fed Funds dal 1966 ad oggi, notiamo come questi siano sempre scesi dopo una crisi.
 
I Fed Funds prima e dopo ogni crisi

 
Forse non sarà il 2023, ma è probabile che il 2024 vedrà un calo dei tassi.
 
La FED continua ad utilizzare il suo tasso di policy per ridurre l’inflazione (vediamo un tasso di picco tra il 5,25% e il 5,50%) e utilizza la liquidità del suo bilancio per puntare alla stabilità finanziaria. Sono però poco chiari sia i tempi che il percorso dei tassi per raggiungere questi risultati. Infatti, non solo è difficile stimare di quanto si estenderanno le tensioni bancarie, ma è anche incerto il grado di inasprimento degli standard di prestito bancario che deriverà dalle recenti tensioni del settore. Chiaro che questi fattori saranno molto importanti per determinare il percorso dei tassi.
 
In questo scenario, come potrebbero comportarsi le azioni e le obbligazioni? Iniziale dalle prime. I titoli azionari USA si sono dimostrati piuttosto resistenti nei primi 5 mesi dell’anno, registrando guadagni anche quando la FED ha continuato il suo ciclo di inasprimento storicamente aggressivo e le tensioni nel settore bancario sono aumentate. Dal punto di vista fondamentale, riteniamo che ci sono forti ragioni per aspettarsi un calo del mercato azionario. Mentre la dinamica del 2022 è stata guidata dalla paura dell'inflazione e dei tassi, la rimanente parte del 2023 sarà probabilmente dominata dalla paura degli utili e della crescita economica.
 
Anche nello scenario di un atterraggio morbido da parte della FED, una recessione degli utili potrebbe essere già in vista. Gli utili dell'S&P 500 sono in rallentamento dal picco raggiunto a metà del 2022 e hanno subito una contrazione del -3,2% nel quarto trimestre. Senza il sostegno del settore energetico, la contrazione è scesa a -7,4%.
 
La crescita degli utili sarà ulteriormente messa a dura prova nei prossimi trimestri. I margini da record, inizialmente sostenuti da un'inflazione elevata, si scontrano ora con un’attenuazione delle pressioni sui prezzi (la dinamica dell’inflazione è al ribasso) e una domanda di salari al rialzo. Anche il sostegno del settore energetico sta venendo meno con il ritorno dei prezzi del petrolio ai livelli del 2021. Se ne deduce che una contrazione degli utili sembra sempre più probabile.
 
I titoli dello S&P 500 sono valutati oggi a circa 18x gli utili 2023, al di sopra della mediana a 15 anni, pari a 16,1x, il che suggerisce che le aspettative di crescita positiva degli utili rimangono incorporate nei livelli di prezzo. La delusione degli utili e la revisione al ribasso delle aspettative sugli utili futuri potrebbero quindi rappresentare un rischio significativo per i mercati azionari. In queste condizioni difficili, gli investitori dovrebbero dare priorità alla resistenza dei margini. Le società in grado di preservare i margini e la crescita dei ricavi grazie al potere di determinazione dei prezzi diventeranno quindi sempre più interessanti.
 
Veniamo alle obbligazioni, Dopo aver subito uno dei più profondi ribassi nella storia degli USA nel 2022, le obbligazioni hanno iniziato l'anno con forza, chiudendo addirittura il 1Q23 con modesti guadagni.
 
Crediamo che nonostante il rally, le obbligazioni restino favorevoli anche per la rimanente parte dell’anno. I Treasury a 10 anni rendono più del doppio del dividend yield stimato dell'S&P 500, offrendo agli investitori l'opportunità di bloccare il reddito con un asset generalmente meno volatile. Non solo il reddito fisso paga un tasso cedolare storicamente elevato, ma i suoi flussi di cassa sono tipicamente più stabili rispetto agli asset più rischiosi. Con il rallentamento dell'economia e la probabile pressione sugli utili societari, l'affidabilità delle cedole del reddito fisso sarà quindi sempre più apprezzata. Crediamo infatti che man mano che la debolezza economica si diffonderà nei prossimi trimestri, i tassi d'interesse di mercato scenderanno probabilmente a livelli di recessione. Ciò consentirà anche una rivalutazione del capitale per i detentori di obbligazioni.
 
 

Ultimi commenti

comunque sia, intanto, i treasury a 10 anni , si possono considerare anche come beni rifugio.
Per cui niente recessione.Ok.
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