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USA: l'inflazione scenderà, e i tassi?

Pubblicato 21.09.2023, 08:35

Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare (G. Falcone).


Due dati USA importanti in uscita alle 14:30: la richiesta di sussidi settimanali alla disoccupazione USA (stima 225k contro 220k della scorsa settimana) e il PhillyFed di settembre (stima -1 punto contro +12 punti di agosto), dato particolarmente importante perché indica le condizioni del settore manifatturiero nel distretto di Philadelphia.
 
Ieri è stato il turno della FED che, come era nelle attese, ha lasciato invariati i tassi di interesse di riferimento in un range compreso tra il 5,25% e il 5,5%, al massimo di 22 anni, ma ha segnalato che potrebbe aumentarli nuovamente nella sua lotta per ridurre l’inflazione. Da marzo 2022 i tassi sono aumentati 11 volte partendo da livelli prossimi allo zero.
 
L’inflazione, che è aumentata vertiginosamente dopo la fine del Covid, è diminuita drasticamente da un tasso annuo del 9,1% lo scorso giugno al 3,7%. Ma la crescita dei prezzi rimane ben al di sopra dell'obiettivo della FED del 2% e ci sono segnali preoccupanti che i prezzi negli potrebbero aumentare nuovamente. I prezzi del petrolio sono in aumento, spinti dai tagli alle forniture dall’Arabia Saudita e dalla Russia. Il prezzo di riferimento del greggio Brent è ora vicino ai 100 dollari al barile, ponendo una nuova sfida per le banche centrali nella loro battaglia contro l’inflazione.
 
I mercati, che inizialmente avevano preso bene la decisione della FED, sono in seguito inciampati sulle parole di Powell che ha indicato come un atterraggio morbido dell’economia non sia lo scenario base, anche perchè il suo raggiungimento potrebbe non essere nel totale controllo della FED.
 
La novità rispetto al meeting precedente è che i membri del FOMC si aspettano ora due tagli dei tassi nel 2024, invece dei 4 previsti in precedenza. Ma questo crediamo stia proprio a confermare come in realtà la FED sia sempre più fiduciosa di riuscire a realizzare un atterraggio morbido con l’economia in grado di sopportare tassi più alti più a lungo. Se infatti lo scenario fosse un hard landing, crediamo che il numero del taglio dei tassi sarebbe quantomeno rimasto invariato.
 
Per cercare di meglio capire la politica della FED alla luce dell’evoluzione economica, diamo uno sguardo ai dati. Il processo di disinflazione USA mostra segni di stallo. Gli ultimi dati hanno mostrato che l’inflazione complessiva è cresciuta dello 0,6% ad agosto, in aumento rispetto allo 0,2% di luglio e al di sopra delle aspettative degli investitori, complice come noto il prezzo dei carburanti. Il ritmo di crescita dell’inflazione derivanti dalle abitazioni si è leggermente attenuato (+ 0,3% rispetto a +0,4% di luglio), ma rimane tuttavia elevato su base annua e pari al 7,3%. Ricordiamo che i prezzi degli alloggi hanno un effetto ampio e ritardato sui dati di inflazione (rappresenta il 34% della misura totale dell’IPC e ha un ritardo di circa 12 mesi).
 
Il CPI core, che esclude la volatilità dei prezzi di cibo e gas, è aumentato dello 0,3% ad agosto, rispetto allo 0,2% di luglio. Su base annua, il valore core è stato del 4,3%, in calo dello 0,4% rispetto al livello del 4,7% registrato a luglio, ma ancora troppo lontano dal 2% di target. L’ultimo dato su base annua segna l’aumento più lento da settembre 2021.
 
Anche la lettura dell’inflazione della Federal Reserve di Cleveland, chiamata CPI media troncato al 16%, che esclude le categorie anormalmente alte e basse, indica una perdita di slancio nel processo di disinflazione. L’ultima lettura mostra che i prezzi sono aumentati dello 0,29% in agosto, un aumento modesto rispetto alla lettura di luglio dello 0,22%. Tuttavia, l’IPC mediano ridotto è aumentato dello 0,33% rispetto al rialzo dello 0,18% di luglio. Sebbene un mese non rappresenti una tendenza, gli ultimi dati sull’inflazione suggeriscono che ottenere ulteriori progressi nella riduzione della pressione sui prezzi potrebbe essere difficile finché i salari non inizieranno a indebolirsi, il che è improbabile che si verifichi senza una corrispondente recessione.
 
L’ottimismo delle piccole imprese si sta attenuando mentre persistono le preoccupazioni sui salari e sull’inflazione: gli ultimi dati della Federazione nazionale delle imprese indipendenti (NFIB) mostrano che l’ottimismo tra i proprietari di piccole imprese è sceso in agosto a 91,3 punti, in calo di 0,6 punti rispetto a luglio. La lettura segna il 20esimo mese consecutivo di letture al di sotto della media degli ultimi 50 anni. Il calo dell’ottimismo arriva quando le preoccupazioni sull’inflazione sono aumentate, con il 23% (+2% rispetto a luglio) degli intervistati che identifica come le pressioni sui costi siano la loro principale preoccupazione.
 
Il calo dell’ottimismo è dovuto principalmente alla compressione dei margini dovuto all’aumento dei costi. Preoccupazioni sui costi che le aziende hanno cercato di trasferire sui consumatori, con il 27% degli intervistati che ha affermato di aver aumentato i prezzi durante il periodo dell'indagine, in aumento di 2 punti rispetto a luglio. Inoltre, il 30% degli intervistati (21% in marzo) prevede di aumentare i prezzi nei prossimi tre mesi: si tratta del secondo livello più alto da novembre 2022.
 
Sul lato consumatori, il sentiment sembra rimanere stabile, attestandosi a 67,7 punti a settembre (69,5 punti in agosto), secondo l’Università del Michigan. L’indagine ha anche mostrato che le aspettative di inflazione sono rimaste sostanzialmente stabili, con gli intervistati che si aspettano un aumento dei prezzi del 3,1% nel 2024, in calo rispetto alla lettura finale di agosto che indicava il 3,5% (livello più basso da marzo 2021).
 
Anche nel lungo termine le aspettative di incremento dei prezzi sono rimaste stabili, con l’ultima lettura che si attesta al 2,7%, scendendo per la seconda volta negli ultimi 26 mesi in un range compreso tra 2,9% e 3,1%. I dati sembrerebbero indicare che i consumatori abbiano preso atto dello stallo del rallentamento dell'inflazione, ma si aspettino che lo stesso riprenda.
 
 
 

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