Market Brief
A dicembre gli americani hanno preferito risparmiare di più: i redditi personali sono aumentati più del previsto (0,3% m/m a fronte dello 0,2% stimato), invece le spese personali sono rimaste piatte (0,1% m/m come da previsioni), confermando il debole dato riferito alle vendite al dettaglio pubblicato a gennaio (contrazione pari al -0,1% m/m e al -0,2% escluse le automobili).
Gli americani si aspettano il peggio o sono semplicemente prudenti dopo l’ultima crisi finanziaria? L’indice sull’inflazione preferito dalla Federal Reserve, il deflatore del PCE, a dicembre si è contratto dello 0,1% m/m, anche l’indicatore di fondo, che esclude i prezzi più volatili e stagionali riferiti a generi alimentari ed energia, ha deluso le attese, rimanendo piatto rispetto al +0,1% m/m delle previsioni medie.
Infine, anche il settore manifatturiero USA a gennaio si è contratto per il quarto mese consecutivo, la domanda estera è rimasta disperatamente debole, e il dollaro forte continua a danneggiare le prospettive.
L’ISM di gennaio ha raggiunto 48,2 punti, mentre il dato riferito al mese precedente è stato rivisto al ribasso, a 48 punti. Il leggero recupero dei nuovi ordinativi (51,5 a fronte dei 48,8 di dicembre) e della produzione (50,2 contro 49,9) potrebbe tuttavia segnalare una stabilizzazione del settore, anche se l’occupazione a dicembre è scivolata da 48,0 a 45,9 punti.
Il mercato aveva previsto questi dati deboli, pertanto gran parte delle coppie in USD è rimasta stabile. L’EUR/USD rimane all’interno della fascia di medio termine compresa fra 1,0711 e 1,1060, al momento passa di mano intorno a 1,09.
Manteniamo il nostro giudizio ribassista, perché le probabilità di un allentamento dalla BCE aumentano di giorno in giorno. La banca centrale australiana (Reserve Bank of Australia, RBA) ha mantenuto invariato al 2,00% l’obiettivo del tasso di cassa, in linea con le attese del mercato, sottolineando però che la bassa inflazione potrebbe giustificare un ulteriore allentamento.
Secondo noi, la RBA sembra piuttosto soddisfatta dei livelli attuali dell’AUD e dell’inflazione, ormai vicina all’obiettivo, ma non si preclude la possibilità di un allentamento, per ogni eventualità.
Come tutte le altre valute legate alle materie prime, durante la seduta asiatica l’AUD/USD ha perso terreno perché pesa l’andamento del greggio. L’AUD ha ceduto lo 0,51% contro il biglietto verde, inciampando contro la resistenza costituita dalla media mobile a 50 giorni, che attualmente giace a 0,7144 USD, per la seconda volta nel giro di tre giorni.
Anche il loonie (dollaro canadese) ha sentito gli effetti del greggio, l’USD/CAD è balzato dello 0,75% dal minimo di ieri a 1,40; il giudizio rimane positivo.
Sui mercati azionari, i titoli asiatici stanotte hanno sentito la tensione, perché sono tornate in primo piano le preoccupazioni per la crescita globale e per la flessione dei prezzi del petrolio. In Giappone, il Nikkei è scivolato dello 0,64%, il più ampio indice Topix ha ceduto lo 0,73%. In Australia, l’indice S&P/ASX ha perso l’1%, in Nuova Zelanda l’indice NZX ha guadagnato un esiguo 0,09%.
Nella Cina continentale, i titoli hanno guadagnato significativamente, cancellando le perdite di ieri; gli indici compositi di Shanghai e Shenzhen hanno guadagnato rispettivamente il 2,26% e il 3,42%.
L’EUR/CHF ha proseguito la sua corsa rialzista, confermando la violazione del massimo precedente (1,1050, risalente all’11 settembre). In caso di delusione dal dato sulle vendite al dettaglio (in uscita stamattina alle 08:15), la coppia dovrebbe continuare a guadagnare terreno.
Oggi gli operatori monitoreranno il tasso di disoccupazione in Spagna, Germania, Eurozona e Nuova Zelanda; la produzione industriale in Brasile; il PMI costruzioni Markit/CIPS nel Regno Unito; le vendite al dettaglio in Svizzera.