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SCHEDA/ Lavoro, licenziamenti e reintegro, confronto Italia/Europa

Pubblicato 22.09.2014, 18:58
SCHEDA/ Lavoro, licenziamenti e reintegro, confronto Italia/Europa

di Francesca Piscioneri

(Reuters) - Reintegro sì, reintegro no, per i licenziamenti senza giusta causa. Mentre in Italia impazza il dibattito sul futuro dell'articolo 18 prima ancora che il governo abbia messo nero su bianco le sue intenzioni, ecco cosa succede nei principali Paesi europei.

Gran Bretagna, Svizzera e Belgio escludono in sostanza la possibilità che il lavoratore licenziato possa tornare in azienda. Altrove, Germania compresa, questa possibilità esiste ma si realizza raramente. In Austria e Portogallo prevale il reintegro.

GERMANIA: REINTEGRO POSSIBILE MA RARO

In Germania la disciplina sui licenziamenti individuali prevista dalla riforma Hartz del 2005 si applica alle aziende con almeno 10 dipendenti (a fronte dei 15 in Italia) e ammette la possibilità di reintegro.

Fondamentale è il ruolo di mediazione svolto dal Consiglio di fabbrica che deve essere obbligatoriamente informato in caso di richiesta di licenziamento. Qualora si consideri fondato per ragioni aziendali, il lavoratore può rinunciare al ricorso e accettare un indennizzo che aumenta in base all'anzianità.

In prima istanza, dunque, azienda e sindacati tentano una mediazione per ridurre il contenzioso. E anche qualora si arrivi in tribunale il giudice tende a valutare soprattutto quanto sia praticabile e utile il reintegro. Dunque i casi di effettivo reintegro si aggirano attorno al 2%, a fronte del 95% dei risarcimenti, secondo dati pubblicati da GF Legal (studio legale specializzato sul diritto del lavoro) a gennaio 2013.

Qualora il giudice propenda per il risarcimento, il lavoratore riceve un'indennità da 12 a 18 mensilità in base all'anzianità. Il lavoratore ha diritto a rimanere al suo posto durante la vertenza, si legge sul sito Intrage che si occupa di lavoro e previdenza.

REINTEGRO FACOLTATIVO IN FRANCIA E SPAGNA POST RAJOY

In Francia il reintegro è ammesso ma non può essere imposto salvo che per i casi di discriminazione (come in Italia) sulla base di razza, religione, appartenenza politica ecc..

La somma del risarcimento va da un minimo di 6 mensilità a oltre 24. In alcuni casi è prevista anche un'indennità che varia in base al danno subito.

La legge spagnola ammette il reintegro ma in via facoltativa, a seguito della riforma introdotta dal governo Rajoy che ha stretto le maglie del welfare per tentare di combattere la disoccupazione intorno al 25%. L'azienda può opporsi al reintegro con un rifiuto motivato e versare al lavoratore un'indennità pari a 33 giornate lavorative per ogni anno di anzianità, più gli arretrati. E' prevista inoltre un'indennità per la mancata reintegrazione.

NORD EUROPA VERSUS AUSTRIA E PORTOGALLO

I sistemi del Nord Europa, incentrati sulla flexsecurity, sostanzialmente prevedono un indennizzo ma accompagnato da formazione per favorire il reinserimento del lavoratore.

La legge danese ammette il reintegro del lavoratore, ma è raro che si arrivi a sentenza, e stabilisce un risarcimento. Anche in Finlandia (e in Olanda) il reintegro è ammesso ma non può essere imposto per legge, è previsto però il diritto del lavoratore ad una formazione che ne migliori la professionalità.

In Svezia il licenziamento può avvenire solo per grave disobbedienza o per ristrutturazione dell'azienda. Il giudice può imporre il reintegro disponendo eventualmente anche un risarcimento dei danni qualora l'azienda non ottemperasse.

Rigide le norme di Portogallo e Austria mentre in Grecia l'azienda può scegliere di non reintegrare il lavoratore optando per l'indennizzo.

In Portogallo reintegrare il lavoratore licenziato ingiustamente è obbligatorio. Il dipendente però può rinunciare e scegliere il pagamento delle mensilità arretrate o un'indennità che aumenta con l'anzianità.

In Austria, in caso di licenziamento ingiusto, il datore di lavoro è obbligato al reintegro e a pagare un risarcimento.

NESSUN REINTEGRO IN BELGIO, GRAN BRETAGNA E SVIZZERA

Diritto al risarcimento ma nessun diritto di reintegro nel Regno Unito salvo che per i casi di licenziamento "illecito", cioè discriminatorio per motivi politici o razziali.

In Belgio e Svizzera non esiste per il lavoratore il diritto al reintegro, ma solo un risarcimento fino a un massimo di sei mensilità.

E IN ITALIA?

La legge Fornero del 2012 ha spuntato l'arma del reintegro rendendolo obbligatorio solo nei casi di licenziamenti discriminatori; in caso di licenziamento disciplinare o economico è previsto un indennizzo (da 15 a 24 mesi) salvo che sia dimostrata la "manifesta insussistenza del fatto", ovvero sia camuffato con ragioni economiche un licenziamento di altra natura.

In queste settimane si discute la possibilità di restringere ulteriormente i casi di reintegro se non di cancellarli, abbandonando definitivamente le tutele previste dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i nuovi assunti a tempo indeterminato.

In Italia gli occupati sono circa 22 milioni di cui circa la metà ha diritto all'articolo 18.

Recentemente il premier Matteo Renzi ha detto che ogni anno ci sono circa 40.000 licenziamenti che rientrano nella disciplina dell'articolo 18. Di questi, "l'80% sono risolti con un accordo, ne restano 8.000 di cui in 4.500 il lavoratore perde totalmente, in 3.500 vince e in due terzi dei casi ha il reintegro". Quindi poco più di 2.300 persone.

© Reuters. Un giovane minatore sardo a Carbonia

E il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino, ha detto, senza ulteriori precisazioni, che l'articolo 18 oggi "ha effettività sullo 0,032% dei lavoratori".

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