MILANO (Reuters) - Se questa volta dalla Bce davvero nessuno si aspettava nulla, la nemmeno tanto velata promessa di Mario Draghi, nuove misure espansive a inizio marzo, coglie perfettamente nel segno.
Festeggiano quindi i mercati finanziari, colti evidentemente in contropiede: borse al galoppo, tassi più sottili sull'obbligazionario ed euro fino a sotto 1,08 dollari.
Sullo sfondo di un quadro indubbiamante deteriorato, specie sul fronte inflazione, l'appuntamento è a giovedì 10 marzo, quando - almeno a giudicare dai tassi implici - potrebbe arrivare una nuova limatura sui depositi marginali, oggi già a meno 0,3%.
Francoforte si limita del resto a fotografare una realtà sotto gli occhi di qualunque osservatore. Le prime tre settimane dell'anno nuovo non hanno riservato agli investitori che una serie ininterrotta di brividi, una miscela esplosiva composta di Cina e greggio, condita nelle ultime sedute da un accanimento di realizzi sui titoli finanziari, italiani in particolare, più sensibili sul fronte sofferenze.
Rispetto alle stime trimestrali dello staff corrette al ribasso soltano a inizio dicembre le circostanze sono mutate in maniera radicale. Per preservare la propria credibilità la Bce deve agire: ne ha la facoltà, garantisce Draghi, la volontà e la determinazione.
Senza sforare dai confini del proprio mandato, la tutela della stabilità dei prezzi, sono molteplici gli strumenti che la banca centrale può mettere in campo e su questo fronte non si pone limite alcuno.
"Dall'inizio dell'anno nuovo sono ulteriormente aumentati i rischi al ribasso, in un contesto di maggiore incertezza legato alle economie emergenti, alla volatilità dei mercati finanziari e delle materie prime e agli sviluppi sul fronte geopolitico" osserva in tema di inflazione.
"E' quindi necessario rivedere ed eventualmente aggiustare il nostro orientamento di politica monetaria in occasione del prossimo appuntamento del consiglio, quando saranno disponibili le nuove stime dello staff" aggiunge.
L'appuntamento di marzo sarà per inciso la prima occasione per valutare quali siano, almeno di massima, le aspettative di Francoforte sul 2018.
Per un'idea di quanto il quadro sia mutato basti soffermarsi su un dettaglio della massima semplicità ed eloquenza: il quadro su crescita e inflazione tracciato a inizio dicembre si basava su un prezzo medio del greggio pari a 52,2 dollari il barile quest'anno e 57,5 dollari il prossimo. Contro i circa 45 dollari di metà novembre, data di 'cut-off' per l'elaborazione delle proiezioni Bce, il futures Brent vale oggi poco più di 28 dollari.
Da ultimo una considerazione non banale: il copione odierno è capovolto come in uno specchio se confrontato al consiglio di inizio dicembre, quando le scommesse dei mercati finanziari si erano talmente sbilanciate in avanti da lasciare poi gli investitori con il cerino in mano.