Il rendimento del T-bond a 10 annni stabilmente a ridosso del 3% è un’ottima notizia per le azioni e i bond dei mercati emergenti, che possono riprendere il cammino di crescita dopo un brutto primo semestre.
Uno dei titoli più gettonati da giornalisti e analisti finanziari nei primi 6 mesi del 2018 è stato “tempesta perfetta”. La vittima predestinata dello sconquasso viene indicata nei mercati emergenti, ma anche nei bond high yields dei paesi sviluppati, con varianti sullo spread italiano. Gli ingredienti più ricorrenti citati sono il dollaro forte, i tassi americani, ovviamente Trump e il protezionismo, e anche qui la politica italiana. Prendiamo a caso buttando su Google (NASDAQ:GOOGL) ‘perfect storm’: “l’escalation di minacce commerciali del Presidente Trump, gli aumenti dei tassi della Fed, le tensioni pre-elettorali, tutto congiura per una tempesta perfetta per i mercati emergenti, che vedono monete, azioni e fiducia toccare nuovi minimi in tutto il mondo”. Data una decina di giorni fa, la fonte non la citiamo, tanto sono tutti uguali. Neanche la blasonata Reuters riesce a star fuori dal coro e in un titolo del 29 giugno si inventa la definizione di ‘submerging markets’, mercati sommersi, anzi affondati. Mamma mia!
L’ORSO PER ORA RESTA FUORI DALLA PORTA
Ovviamente qualcosa di vero c’è. I mercati emergenti, sia azionari che del debito, hanno accusato più di quelli sviluppati la botta di fine gennaio inizio febbraio, quando il rendimento del T-bond a 10 anni sopra il 3% per la prima volta da quasi 7 anni metteva bruscamente fine al rally di inizio anno di Wall Street e mandava segnali di allarme sui mercati di tutto il mondo. La Borsa americana ha superato la correzione e imboccato un movimento laterale, quelle europee hanno sofferto di più ma non sono entrate in territorio ‘Orso’, quelle emergenti invece ci sono quasi, con l’indice globale MSCI riportato su Investing.com a una distanza ancora sotto il 20% rispetto ai massimi di fine anno, come mostra il grafico qui sotto.
L’andamento dell’indice MSCI dall’inizio del 2018 (Fonte: Investing.com)
Ma c’è anche da osservare che venivano da una corsa a perdifiato iniziata a gennaio del 2016 che le aveva portate, sempre in termini di indice globale, quasi a raddoppiare in soli 24 mesi.
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IL DEBITO REGGE MEGLIO DELLE AZIONI
Sul patibolo della tempesta perfetta ci sono anche il debito, sempre dei paesi emergenti, e i bond high-yield dei paesi sviluppati, America in testa. Qui il ragionamento recita: la combinazione di dollaro forte e di tassi della Fed in costante rialzo mette sotto stress il debito emergente perché indebolisce la valute nazionali, in cui sono denominate le entrate fiscali di quei paesi, e aumenta il costo del debito, che è denominato o comunque agganciato al dollaro. Stesso ragionamento per gli high-yield, destinati a soffrire proprio per i tassi alti in USA. Il debito emergente ha retto meglio delle azioni nel primo semestre del 2018 mentre i bond ad alto rendimento americani non hanno sofferto e si sono rivelati un ottimo investimento per chi li ha tenuti in portafoglio. Il problema è quale tasso americano si prende a riferimento, i Fed Fund, che ormai viaggiano al 2% e puntano al 2,5% nell’arco dei prossimi 6-9 mesi, oppure quello del T-bond a 10 anni, che dopo la puntata di fine gennaio si tiene a una quindicina di punti base sotto il 3%? Il mercato del debito mondiale lo fa quest’ultimo, non i Fed Fund.
IL MIGLIOR AMICO DELL’INVESTITORE
Alla fine la lezione è che quello che viene comunemente visto come il peggior nemico del mercato, vale a dire un appiattimento della curva dei tassi americani che prelude a un’inversione – vale a dire che le scadenze a due anni rendono di più di quelle a dieci – si sta rivelando paradossalmente come il suo miglior amico. Lo spread 2-10 anni si mantiene positivo per una manciata di punti base, magari prima o poi la curva si inverte e questo storicamente dovrebbe segnalare una recessione in arrivo nell’arco di 18-24 mesi, ma per ora la curva piatta è una buona notizia, soprattutto per gli emergenti. Che poi emergenti ormai sono fino a un certo punto. Venerdì scorso il presidente di Strategic Wealth Partners Mark Tepper ha spiegato su CNBC che “il consumatore dei mercati emergenti è uno dei migliori alleati dell’investitore in questa fase: nell’arco di 15 anni l’80% del ceto medio globale sarà fuori da USA e Europa con una spesa per consumi proiettata verso i 20.000 miliardi di dollari al 2020. L’investitore non può permettersi di non avere in portafoglio gli emergenti”.
BOTTOM LINE
La curva dei tassi USA ci racconta un futuro di crescita sostenibile e bassa inflazione, con l’America locomotiva e i paesi emergenti che stanno gettando le basi per ripartire. La caduta di azioni, valute e bond del primo semestre può rappresentare un’ottima occasione d’acquisto. L’Europa per ora sembra tagliata fuori da questo scenario virtuoso da due grandi punti interrogativi: la sostenibilità della ripresa quando verrà a mancare l’ossigeno del QE di Draghi e una politica che non riesce a venire a capo del problema migranti, figuriamoci se riesce a trovare la strada per completare l’unione finanziaria.
(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge