C’è chi vede nella sfida di Roma alla UE il sotterraneo tentativo di creare le condizioni per l’uscita dall’euro. Non può funzionare, ma può essere l’occasione per profittare di prezzi da saldi da qui a fine anno.
La prima pagina che fotografa meglio la situazione italiana post 2,4% è probabilmente quella del Financial Times di sabato 29 settembre, che posta una fotona del vice premier Di Maio esultante montandogli accanto in grafica i titoli di Intesa (MI:ISP) e Unicredit (MI:CRDI), che crollano rispettivamente dell’8,4% e del 6,7% mentre il rendimento del BTP vola al 3,15%. A una prima lettura il messaggio che sembra mandare il foglio color salmone della City di Londra sembra essere ironico: un massimo esponente di governo esulta perché le grandi banche del suo paese vanno a picco in Borsa mentre il costo del debito schizza verso l’alto. Ma c’è una lettura più sottile, nascosta in un ragionamento che circola tra qualche osservatore americano. L’esultanza è dovuta al fatto che l’obiettivo non dichiarato si avvicina. Quale obiettivo? Far espellere l’Italia dall’euro.
PREMIATO CHI HA COMPRATO SULLE IMPENNATE DEGLI SPREAD
Tutto sommato era il contenuto sotteso nella famosa bozza di programma improvvidamente fatta filtrare a maggio e poi smentita da cui è iniziato il movimento al rialzo dello spread e l’ondata di vendite che ha investito le banche italiane, alle quali ogni 100 punti base in più di differenziale di rendimento con il Bund tedesco costa tra 30 e 50 punti base in meno di Cet1, la principale misura del capitale di vigilanza. È una tesi che sviluppa sul WSJ da Jon Sindreu in un’analisi titolata “gli investitori dovrebbero andare a vedere il bluff italiano”. Secondo Sindreu gli investitori dovrebbero focalizzarsi meno sul deficit di bilancio italiano e di più sul fatto che la maggioranza degli elettori italiani è a favore della permanenza nell’euro. Secondo il ragionamento, la lezione della crisi del debito del 2010-2012, sventata da Draghi prima con il ‘wathever it takes’ e poi con bazooka del QE, è che gli spread dei paesi giudicati a rischio non misurano il rischio default, visto che la BCE può sempre farvi fronte stampando euro, ma il rischio di espulsione dall’euro e la conseguente possibilità che chi ha investito in debito di Grecia, Portogallo, Spagna o Italia si ritrovi a essere rimborsato in dracme, escudo, peseta o lire. Finché non salta l’euro, è garantito che non succeda. E infatti chi ha comprato debito dei paesi periferici negli anni della crisi ha portato a casa forti guadagni...
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge