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Auf Wiedersehen Angela: il bilancio dei 16 anni dell'era Merkel

Pubblicato 21.09.2021, 18:32
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Di Geoffrey Smith 

Investing.com - Il vento è cambiato, ed è tempo che la Mary Poppins d’Europa se ne vada. E lo farà alle sue condizioni, con un tasso di consenso ancora alle stelle dopo 16 anni al potere, un dettaglio così raro nella politica democratica competitiva che è difficile non considerare i suoi successi come una prova inconfutabile della sua grandezza come leader.

Ma sarebbe sbagliato farlo. La sua grandezza si riduce solamente all’aver cavalcato l’assurda ed enorme fortuna che ha avuto all’inizio della sua carriera e ad aver difeso il più possibile lo status quo che aveva ereditato.

Merkel deve il suo grande successo del 2005 all’avventata decisione del suo predecessore, Gerhard Schroeder, di indire delle elezioni anticipate prima che si potessero avvertire i benefici delle sue riforme del mercato del lavoro. Merkel ha ereditato tutti quei benefici nella forma di una minore disoccupazione e di un regime assicurativo per i disoccupati molto più efficiente, mentre a Schroeder è toccata tutta la rabbia di una classe elettorale tradizionale che si era sentita tradita. Le divisioni interne che hanno afflitto il partito Social-democratico da allora in poi lo hanno reso praticamente ineleggibile, ed è stato facile per lei occupare e monopolizzare il campo politico.

Una volta al potere, Merkel ha più e più volte messo gli interessi tedeschi davanti a quelli europei. Nel 2011, sulla scia del disastro di Fukushima, aveva unilateralmente accelerato la chiusura dei restanti reattori nucleari in Germania, per supportare la sua posizione politica nazionale contro il partito dei Verdi. Le conseguenze di quella scelta si vedono ora: un sistema energetico fragile, con prezzi dell’energia alle stelle, ed una continua dipendenza dal carbone, il più sporco dei combustibili fossili, che ostacola sia la politica tedesca che quella europea sui cambiamenti climatici.

E, nel 2015, la Merkel in persona si è messa d’accordo con i regolatori USA per certificare le emissioni diesel di Volkswagen (DE:VOWG) come pulite. Le pressioni della Germania sulle istituzioni UE per insabbiare gli effetti sulla salute dell’inquinamento da diesel hanno contribuito a creare la più grande emergenza sanitaria in Europa: si stima che 500.000 persone all’anno in UE abbiano un’aspettativa di vita ridotta per via dell’inquinamento dell’aria, in base ai dati dell’Ufficio Europeo per l’Ambiente. 

L’influenza della lobby delle esportazioni tedesca l’ha spinta più volte verso azioni che hanno messo a repentaglio la sicurezza a lungo termine dell’Europa. Ha trattato con i guanti Cina e Russia, per paura di perdere l’accesso ai loro mercati. Ma ci ha guadagnato solo l’invasione di Ucraina e Georgia, la soppressione della libertà ad Hong Kong e l’aumento dei crimini cibernetici e dello spionaggio. Ha assecondato inoltre gli autocrati più vicini, rifiutandosi di adottare una linea dura contro i governi di Polonia ed Ungheria, nonostante abbiano oltraggiato continuamente lo stato di diritto, uno dei valori chiave dell’UE.

Persino nell’unica occasione in cui Merkel ha dimostrato un vero coraggio morale, nel suo approccio alla crisi dei migranti nel 2015, si è trattato di una politica che non aveva alcun riguardo per i suoi vicini europei: né per gli stati in prima linea, Grecia ed Italia, né per il Regno Unito, dove la sua mossa si è dimostrata fatale finendo nelle mani della campagna per la Brexit che l’ha utilizzata per far leva sulla paura di un'immigrazione senza controllo.

Quando Merkel ha agito nell’interesse dell’Europa, l’ha fatto solo perché era impossibile separarlo dagli interessi della Germania. Il suo maggiore successo (evitare il collasso dell’euro tra il 2010 ed il 2012) è stato spinto dalla consapevolezza che nessuno avrebbe avuto più da perdere della Germania.

“Le cose non possono andare bene per la Germania se vanno male per i nostri vicini” era il suo mantra nei tempi bui tra il 2009 ed il 2012. (Ovviamente, non si tratta di una sua frase originale, ma l’ha presa in prestito da Hans-Dietrich Genscher, storico Ministro degli Esteri di un’altra epoca).

La sua risposta alla crisi dell’euro fu un disastro per la maggior parte del continente: una camicia di forza di austerity non solo per l’Europa meridionale, ma anche per la Germania, nella forma del “freno all’indebitamento”, o “Schuldenbremse”. E' seguito un decennio di politica economica oltremodo sbilanciata: la politica fiscale è stata troppo rigida, compensata per forza di cose da una politica monetaria troppo allentata. E questo, a sua volta, ha alimentato la pericolosa convinzione che l’erosione del patrimonio della classe media tedesca sia una conseguenza della politica di tassi di interesse bassi della Banca Centrale Europea, piuttosto che del poco fantasioso approccio che l'ha resa possibile.

Questo squilibrio viene affrontato solo ora. Lo scorso anno, davanti ad un’emergenza economica che le rigide dottrine di bilancio non sono riuscite a gestire, Merkel ha infranto i suoi stessi tabù appoggiando un piano che mette esplicitamente nei guai i contribuenti tedeschi per prestiti su larga scala nell’Unione Europea. Poi, come sempre, la Cancelliera ha dato prova della flessibilità necessaria per impedire che si rompesse lo status quo.

Sedici anni di un simile approccio hanno tenuto in piedi la baracca (la baracca di chi?). Ma hanno arrestato le politiche digitali e sui cambiamenti climatici UE, hanno impedito all’Europa di risolvere un pericoloso vuoto di potere creato dal ritiro degli USA ed hanno permesso all’autoritarismo nazionalista di guadagnare terreno in un continente in cui ha già fatto datti incommensurabili.

Il suo successore dovrà fare di meglio se l’Europa vorrà affrontare da leader le sfide odierne. Ma chi, tra i suoi successori, sarà in grado di resistere alla tentazione di copiare la sua ricetta per il successo?

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