Di Alessandro Albano
Investing.com - Dopo cinque giorni di estenuanti colloqui tra i partiti, mercoledì il primo ministro Mario Draghi parlerà alle Camere secondo l'indicazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per un nuovo voto di fiducia o annunciare le dimissioni definitive. Con l'esecutivo sfiduciato, non dai numeri ma dall'atteggiamento del Movimento 5 Stelle, gli esiti sono del tutto incerti.
Secondo Lorenzo Castellani, assegnista di ricerca in Storia delle Istituzioni Politiche presso la Luiss Guido Carli, "sembra che ci siano delle possibilità di rimettere in piedi il governo". "In termini di numeri, la maggioranza è solida anche se il M5S facesse la scelta definitiva di mettersi all'opposizione. Tuttavia - afferma - sul percorso ci sono degli ostacoli".
"Da un alto - spiega Castellani - c'è la possibilità di rimettere in moto un governo con un'altra scissione e con una grande frammentazione all'interno, tenendo ben presente che andando verso le elezioni le sofferenze dei partiti, come è stato per Conte, saranno sempre di più, con una crescente difficoltà nel governare".
Dall'altro lato, c'è l'incognita più importante, cioè Draghi. Resta da capire, sottolinea l'esperto, se il premier abbia voglia "di andare avanti conscio della grande frammentazione all'interno della maggioranza, o se invece non si sia scostato dalla sua idea di lasciare confermando che sono venute meno le condizioni per un secondo mandato".
La ricomposizione è comunque possibile anche per la volontà dimostrata dalle singole forze politiche nei giorni seguenti il voto in Senato. "Non è semplicissimo da realizzare - sottolinea Castellani - la chiave di volta potrebbe essere uno scambio in cui Draghi detta le conditio sine-qua-non per andare avanti nei prossimi mesi, condizioni che in caso di una nuova rottura provocherebbero la caduta definitiva del governo".
L'altro perno sui cui ruota il futuro dell'esecutivo Draghi è il centro-destra, diviso tra l'andare subito al voto come da Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia, o se perseguire la linea della prudenza come invocato da importanti esponenti della Lega (non Salvini) e Forza Italia.
Suicidio della coalizione di centro-destra in caso di non-elezioni? "Il proseguimento della legislatura non sarebbe il suicidio di nessuno - ribadisce lo studioso della Luis - passando all'opposizione Conte avrebbe raggiunto il suo obiettivo, mentre per la destra che in questi giorni ha fatto i suoi calcoli - non cambierebbe molto andare alle elezioni subito o tra sei mesi".
Draghi o non Draghi, secondo Castellani il "rischio-Italia" in Europa resterà finché la classe politica non sarà in grado di varare quelle riforme necessarie per sbloccare il sistema Paese, con la Troika e il Meccanismo Europeo di Stabilità che pendono sulla testa dell'Italia.
"Draghi è stato un eccellente player dal punto di vista internazionale e di sistema, ma il Parlamento è quello che è", spiega in dettaglio l'esperto. "Le Aule - afferma - si sono rivelate incapaci di realizzare riforme come concorrenza, infrastrutture e con una giustizia depotenziata. I compromessi ci sono stati ma perlopiù al ribasso, e non hanno dato segnali di una spinta riformistica. Tutto questo non tanto per colpa di Draghi, ma per i partiti stessi".
"In uno scenario internazionale molto complesso - continua Castellani - che vede tassi d'interesse in rialzo, inflazione record e instabilità geopolitica, un Paese con un costo del debito molto elevato e stagnante sul campo delle riforme come l'Italia rischia di finire in poco tempo sotto la tutela tecnocratica del Meccanismo europeo di stabilità o della troika.
"Se le prossime elezioni non riusciranno a dare un chiaro vincitore, il rischio di una grossa inconcludenza in termini di PNRR, riforme ed efficentamento del sistema porterebbe l'Italia verso la sofferenza".
Nell'immediato, lo scudo anti-spread in studio presso la BCE (giovedì i risultati della riunione) e il ritardo del ripristino del Patto di Stabilità europeo, potrebbero "offrire qualche garanzia sul breve termine". Tuttavia, avverte infine Castellani, "con la fine della pandemia è tornata l'attenzione verso la spesa pubblica, e con un mancato accompagnamento delle riforme, e quindi della crescita, il rischio di finire sotto la tutela di qualche meccanismo europeo è concreto".