Non è più tanto lo spread ma il costo del debito a pesare sul giudizio in arrivo di S&P, Fitch e Moody’s. La curva invertita dei tassi globali genera incertezza e volatilità ma non può durare ancora troppo a lungo
Nel mirino di mercati e investitori che guardano all’Italia non c’è più tanto lo spread, vale a dire il differenziale di rendimento tra il BTP italiano a 10 anni e l’equivalente Bund tedesco, che per oltre un decennio è stato il termometro della sostenibilità e dell’appetibilità italiane, ma il debito stesso, la sua dimensione e soprattutto la dinamica del suo costo. A 200 punti lo spread è lontano dai livelli di guardia, ma un rendimento del 5% qualche campanello d’allarme invece lo fa suonare. Con un Bund che rende zero o anche a -0,7%, come appena poco tempo fa, 200 punti vuol dire pagare l’1,5% di interesse a 10 anni, mentre con il decennale tedesco al 3% vuol dire appunto il 5%.
SOTTO ESAME LA SOSTENIBILITA’ A LUNGO TERMINE
Il rendimento chiesto dagli investitori per comprare sul mercato debito italiano non si scarica immediatamente sul suo costo, per vederne i primi effetti ci vogliono diversi trimestri e perché diventi insostenibile servono anni. Ma le grandi agenzie di rating che tra il 20 ottobre e il 17 novembre daranno i loro voti in termini di rating all’Italia mettono le cose in prospettiva, e valutano appunto la sostenibilità di medio-lungo termine. Oggi i giudizi rientrano nella categoria Investment Grade: Standard & Poor’s che sarà la prima oggi assegna un BBB con outlook stabile, come anche Fitch che seguirà il 17, e anche Moody’s con il suo Baa3, che però ha già avvertito come l’Italia rischiasse di perdere questo status e scivolare in area High Yield, che qualcuno preferisce chiamare ‘junk’, che vuol dire rischio e rendimento elevati...
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge