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La nuova fatica di Ercole: ridurre le emissioni di CO2

Pubblicato 20.07.2021, 19:38
© Investing.com

Di Geoffrey Smith 

Investing.com - Gli scambi legati alle emissioni di carbonio stanno diventando globali. Unione Europea e Cina la scorsa settimana hanno adottato forti misure per imporre costi più alti sulle emissioni di gas serra, il singolo principale fattore dei cambiamenti climatici causati dall’uomo.

E, proprio al momento giusto, queste iniziative sono arrivate nella stessa settimana in cui delle devastanti forti inondazioni hanno colpito sia Europa che Cina, quasi come avvertimento della devastazione che le nuove misure puntano ad evitare.

Sul lungo termine, dicono gli analisti, le misure potrebbero realizzare quello che promettono, creando una migliore serie di incentivi per la produzione e i consumi energetici (ed ampliando una classe di asset da scambiare che ha offerto bei ritorni negli ultimi anni).

Ma, sul breve termine, il loro impatto probabilmente sarà minimo, indebolito (se il passato ci insegna qualcosa) da pressioni e conseguenti annacquamenti di queste regolamentazioni. Chi spera di fare soldi facili dai future delle quote di emissione di carbonio avrà bisogno di una esaustiva conoscenza delle clausole delle regolamentazioni locali, man mano che si evolveranno.

La strategia sulle emissioni di carbonio dell’UE “Fit for 55”, pubblicata la scorsa settimana, è sicuramente molto più capillare, ma è quella della Cina la più importante, considerato il ruolo del paese come maggiore inquinatore al mondo attualmente.

“Senza una sufficiente riduzione da parte della Cina, raggiungere l’obiettivo di 1,5 gradi è essenzialmente impossibile”, ha riferito nella giornata di martedì l’inviato USA John Kerry, riferendosi all’obiettivo chiave dell’Accordo sul Clima di Parigi di limitare la crescita della temperatura media in tutto il mondo.

Nonostante abbia promesso di ridurre le emissioni dal 2030 in poi arrivando all’impatto zero entro il 2060, la Cina continua a costruire centrali elettriche alimentate a carbone, incarnazione vivente del fenomeno della “fuga dal carbone”, in base al quale l’inquinante attività industriale non fa altro che spostarsi in paesi con regolamentazioni meno rigide.

Perciò è bello vedere lo schema commerciale cinese partire dal settore energetico: oltre 2.000 società energetiche responsabili di circa il 14% delle emissioni legate all’energia in tutto il mondo. Tuttavia, i prezzi pagati per i crediti di carbonio al debutto di venerdì a Shanghai (meno di 8 dollari la tonnellata) non sono neanche lontanamente vicini al livello di 50 dollari che secondo il Fondo Monetario Internazionale sarebbe compatibile con Parigi.

La verità è che l’unico piano utile a lungo termine fa male e i trascorsi del Presidente Xi Jinping da questo punto di vista non sono incoraggianti: più volte, ha annacquato o annullato ambiziose riforme strutturali, una volta diventato evidente il loro costo economico sul breve termine. I principali inquinanti, come il settore petrolchimico, hanno tre anni per fare pressioni sul governo prima di pagare un solo centesimo per le loro emissioni, e non c’è alcun riferimento diretto nei piani del sistema per lo scambio di quote di emissione (ETS) ad una vera riduzione delle emissioni nel tempo. Il rischio di un passo indietro è fin troppo chiaro.

Tuttavia, in questo caso, la Cina potrebbe non avere alternative. Il piano UE per un sistema di aggiustamento del carbonio alla frontiera renderà più semplice punire i produttori che pagano un prezzo inferiore per le loro emissioni. I Democratici al Senato USA, in cerca di un modo per far passare i dazi all’importazione di Donald Trump per misure “verdi”, ora starebbero lavorando anche loro su un meccanismo simile. Non ci sarà futuro per la maggior parte delle industrie cinesi senza accesso a questi due mercati, perciò dovranno essere compiuti un qualche tipo di progressi dimostrabili.

Ci sono ovvi rischi che gli schemi di UE ed USA vengano usati a scopi protezionistici, ma le norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio possono almeno mitigarli, assicurandosi che l’Occidente non chiuda un occhio nei confronti di altri inquinatori nel caso in cui li consideri una minaccia minore, per esempio India o Brasile.

Alla fine, però, sorvegliare le politiche sui cambiamenti climatici a livello internazionale potrebbe essere più semplice che garantire la loro accettazione a livello nazionale.

L’ETS dell’UE, affermano Claus Vistesen e Melanie Debono di Pantheon Macroeconomics, corrisponde ad “un forte e sostenuto aumento della tassa sui consumi energetici nei prossimi 20-30 anni”, che probabilmente ricadrà più sui poveri che sui ricchi, in assenza di altre misure. E questa tesi sarebbe altrettanto valida per analoghe misure USA o cinesi.

In Francia, le eco-tasse di Emmanuel Macron hanno creato il movimento dei “gilet gialli”. Negli USA, la transizione energetica si presta fin troppo facilmente alla manipolazione di estremisti sia di destra che di sinistra, come hanno dimostrato le tempeste di quest’inverno in Texas. La politica di tassazione energetica in Cina difficilmente avrebbe un esito più moderato, per quanto il Partito Comunista si sforzi di tenere a bada le proteste.

In effetti, le difficoltà di implementare queste politiche potrebbero far pensare che l’unica cosa in grado di far rispettare a tutti e tre gli obblighi di Parigi sarebbero eventi climatici sempre più frequenti e sempre più estremi.

Su questo punto, almeno, ci sono meno rischi di rimanere delusi.

 

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