Nel recente discorso a Jackson Hole, la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ha dettato tre condizioni per una pausa dal rialzo dei tassi: la trasmissione della politica monetaria all'economia reale, un punto di svolta nell'inflazione cpi sottostante (core) e una prospettiva di inflazione al 2% nel medio termine.
Tra il calo dell’indice Pmi dell’eurozona e l’inversione di tendenza fatta registrare dall’inflazione ad agosto, secondo Tomasz Wieladek, chief european economist della società di investimento americana T. Rowe Price, “i dati mostrano che le prime due condizioni sono chiaramente soddisfatte. La previsione (la terza condizione) è decisa dalla Bce. Tuttavia, l'indebolimento dei dati sulla crescita dovrebbe portare a una previsione di inflazione più bassa nei modelli della Bce”.
Dopo nove rialzi dei tassi consecutivi, dunque, i tempi potrebbero essere maturi affinché la Bce decida di prendersi una pausa dalla politica di stretta monetaria. Ancor più se si pensa che un ulteriore rialzo potrebbe provocare un effetto controproducente rispetto agli obiettivi del regolatore.
“Se la Bce sorprendesse gli investitori con un rialzo in presenza di dati che iniziano a segnalare una recessione, i mercati potrebbero iniziare a prezzare un errore politico, allentando le condizioni finanziarie e prevedendo un euro più debole. Ciò renderebbe la politica monetaria meno restrittiva, aumentando l'inflazione importata: sarebbe l'opposto di ciò che la Bce vuole ottenere”, spiega l’esperto di T. Rowe Price.
Anche Alvaro Sanmartin, chief economist dell'asset manager spagnolo Amchor IS, crede che nell'Eurozona ci siano le condizioni per un calo sensibile dell'inflazione sottostante nel resto dell'anno. Un dato che “potrebbe consentire alla Bce di iniziare, già a settembre, un lungo periodo di pausa nei rialzi dei tassi di interesse”. I motivi principali, secondo l’economista sono tre: “I salari hanno accelerato in modo significativo, ma non al punto da poter generare complicate spirali prezzo-salario; le aspettative di inflazione nell'Eurozona sono ben ancorate; allo stesso tempo, la politica monetaria, anche se in modo moderato, è diventata innegabilmente restrittiva e questo potrebbe essere sufficiente a bilanciare la domanda e l'offerta; allo stesso modo, la fine della distorsione generata da alcuni sussidi ai trasporti in Germania eserciterà una pressione al ribasso sui prezzi sottostanti proprio a partire da questo settembre”.
Ma nonostante la debolezza di molti dati macroeconomici, Sanmartin guarda con ottimismo al futuro. “Nei prossimi trimestri l'Eurozona dovrebbe raggiungere una crescita economica positiva (anche se modesta)”.
Le ragioni che l'esperto mette sul piatto sono diverse. “I consumi privati, anche se indubbiamente influenzati dai rialzi dei tassi e da livelli di incertezza probabilmente più elevati del previsto, stanno beneficiando di un significativo effetto di coda. In secondo luogo, la politica fiscale rimane chiaramente espansiva e quindi continua a fornire un ulteriore sostegno alla domanda aggregata. In terzo luogo, la possibile imminente fine del processo di aggiustamento al ribasso che ha interessato le scorte potrebbe fornire un certo incoraggiamento al settore manifatturiero verso la fine dell'anno o all'inizio del 2024”.
Gli analisti ci credono. Non resta che attendere il 14 settembre per capire se la riunione della Bce costituirà davvero il tanto atteso punto di svolta monetaria, dopo la serie di rialzi che nell’ultimo anno hanno portato i tassi al livello più alto da quando esiste l’euro.
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