La linea di rigore della commissione europea guidata da Josè Manuel Barroso di multare i paesi dell'Ue che non rispettano i parametri del Patto di stabilità è necessaria ma insufficiente. Sarebbe utile se servisse a spingere i governi a una gestione più attenta delle risorse, senza abusare dello strumento del debito.
Comunque, tale rigore rischia di rimanere una forte affermazione astratta se non si entra nei meccanismi veri dell'economia. La commissione dovrebbe prima di tutto modificare il suo approccio sulle spese per gli investimenti nelle infrastrutture rispetto a quelle correnti. Entrambe generano debito, se finanziate ricorrendo al credito. I debiti fatti per finanziare modernizzazioni tecnologiche e infrastrutture però produrranno nel tempo maggiore ricchezza collettiva. Dovrebbero quindi essere trattati come investimenti e non solo come costi. Occorre distinguere le varie categorie di debito pubblico prima di indicare regole e sanzioni. Non può valere il principio per cui «di notte tutte le vacche sembrano grigie».
Anche perché i governi occidentali stanno ancora dibattendo sulla exit strategy dalla crisi e su come abbattere i livelli di debito pubblico pericolosamente cresciuti anche per finanziare i salvataggi delle banche. I paesi avanzati del G20 nel 2009 hanno in media aumentato il debito pubblico al 102% del Pil e raggiungeranno il 122% nel 2014. Per diminuire il debito, molti vorrebbero giocare con l'«inflazione controllata». Intanto tutti sono impegnati in tagli di bilancio che prolungherebbero la recessione e accentuerebbero le esplosioni sociali.
Alcuni saggiamente propongono l'alternativa di accelerare la crescita attraverso investimenti a lungo termine in nuove tecnologie, infrastrutture, energia e ricerca che dovrebbero essere sostenuti dagli stati e da nuovi strumenti finanziari pubblici-privati con la raccolta dei risparmi e con le risorse finanziarie anche di banche e grandi fondi privati.
Secondo noi, una delle ragioni di fondo della crisi è lo short-termism, cioè quella idea del mercato che punta sul «tutto e subito»! Negli anni passati ciò ha caratterizzato l'intero sistema con ricadute negative sui meccanismi della produzione e della finanza. Ha prima di tutto sottoposto le imprese al modello del cosiddetto shareholders' capitalism, alla massimizzazione immediata del valore delle azioni. Ciò ha prodotto lo scandalo dei bonus miliardari per i manager più spregiudicati.
Lo short-termism era anche sollecitato dalla crescente liquidità a basso costo che ha invaso i mercati e ha esacerbato l'attività finanziaria speculativa a breve. La deregulation globale ha poi abbattuto gli argini che separavano le banche dalle imprese finanziarie, trasformando il rischio bancario in puro oggetto di affari per i mercati di capitale. Da ciò è scaturita l'eccezionale crescita del mercato dei credit default swap e degli altri derivati finanziari. Purtroppo anche le ultime riforme proposte dimostrano scarsa attenzione al ruolo degli investitori di lungo termine e ai loro progetti perché troppo rivolte ai vecchi comportamenti del mondo bancario e finanziario. Cercano di correggerne le manifestazioni più rischiose, ma di fatto sanciscono la superiorità della finanza sull'economia!
Ciò ha portato Cassa depositi e prestiti, Caisse des depots, Kreditanstalt für wiederaufbau e Bei, istituzioni finanziarie che promuovono investimenti a lungo termine, a presentare a Bruxelles proposte per adattare le nuove regole alle esigenze degli investimenti a lungo termine. Esse sostengono che Basilea 3, per fabbisogni di liquidità e di capitale e standard contabili, è più punitiva nei confronti degli investitori di lungo termine rispetto alle banche che operano sul breve periodo.
Senza iattanza riteniamo che prevalga il dominio del vecchio e fallimentare pensiero economico, nonostante Mario Monti suggerisca di «sviluppare un sistema legale europeo ad hoc per incoraggiare l'impegno degli investitori di lungo termine negli investimenti in infrastrutture». È la strada da imboccare con urgenza.
Autori: Mario Lettieri, Paolo Raimondi
Comunque, tale rigore rischia di rimanere una forte affermazione astratta se non si entra nei meccanismi veri dell'economia. La commissione dovrebbe prima di tutto modificare il suo approccio sulle spese per gli investimenti nelle infrastrutture rispetto a quelle correnti. Entrambe generano debito, se finanziate ricorrendo al credito. I debiti fatti per finanziare modernizzazioni tecnologiche e infrastrutture però produrranno nel tempo maggiore ricchezza collettiva. Dovrebbero quindi essere trattati come investimenti e non solo come costi. Occorre distinguere le varie categorie di debito pubblico prima di indicare regole e sanzioni. Non può valere il principio per cui «di notte tutte le vacche sembrano grigie».
Anche perché i governi occidentali stanno ancora dibattendo sulla exit strategy dalla crisi e su come abbattere i livelli di debito pubblico pericolosamente cresciuti anche per finanziare i salvataggi delle banche. I paesi avanzati del G20 nel 2009 hanno in media aumentato il debito pubblico al 102% del Pil e raggiungeranno il 122% nel 2014. Per diminuire il debito, molti vorrebbero giocare con l'«inflazione controllata». Intanto tutti sono impegnati in tagli di bilancio che prolungherebbero la recessione e accentuerebbero le esplosioni sociali.
Alcuni saggiamente propongono l'alternativa di accelerare la crescita attraverso investimenti a lungo termine in nuove tecnologie, infrastrutture, energia e ricerca che dovrebbero essere sostenuti dagli stati e da nuovi strumenti finanziari pubblici-privati con la raccolta dei risparmi e con le risorse finanziarie anche di banche e grandi fondi privati.
Secondo noi, una delle ragioni di fondo della crisi è lo short-termism, cioè quella idea del mercato che punta sul «tutto e subito»! Negli anni passati ciò ha caratterizzato l'intero sistema con ricadute negative sui meccanismi della produzione e della finanza. Ha prima di tutto sottoposto le imprese al modello del cosiddetto shareholders' capitalism, alla massimizzazione immediata del valore delle azioni. Ciò ha prodotto lo scandalo dei bonus miliardari per i manager più spregiudicati.
Lo short-termism era anche sollecitato dalla crescente liquidità a basso costo che ha invaso i mercati e ha esacerbato l'attività finanziaria speculativa a breve. La deregulation globale ha poi abbattuto gli argini che separavano le banche dalle imprese finanziarie, trasformando il rischio bancario in puro oggetto di affari per i mercati di capitale. Da ciò è scaturita l'eccezionale crescita del mercato dei credit default swap e degli altri derivati finanziari. Purtroppo anche le ultime riforme proposte dimostrano scarsa attenzione al ruolo degli investitori di lungo termine e ai loro progetti perché troppo rivolte ai vecchi comportamenti del mondo bancario e finanziario. Cercano di correggerne le manifestazioni più rischiose, ma di fatto sanciscono la superiorità della finanza sull'economia!
Ciò ha portato Cassa depositi e prestiti, Caisse des depots, Kreditanstalt für wiederaufbau e Bei, istituzioni finanziarie che promuovono investimenti a lungo termine, a presentare a Bruxelles proposte per adattare le nuove regole alle esigenze degli investimenti a lungo termine. Esse sostengono che Basilea 3, per fabbisogni di liquidità e di capitale e standard contabili, è più punitiva nei confronti degli investitori di lungo termine rispetto alle banche che operano sul breve periodo.
Senza iattanza riteniamo che prevalga il dominio del vecchio e fallimentare pensiero economico, nonostante Mario Monti suggerisca di «sviluppare un sistema legale europeo ad hoc per incoraggiare l'impegno degli investitori di lungo termine negli investimenti in infrastrutture». È la strada da imboccare con urgenza.
Autori: Mario Lettieri, Paolo Raimondi