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Jobs act, via libera Camera con 316 sì. Pd diviso

Pubblicato 25.11.2014, 19:32
© Reuters. Palazzo Montecitorio, sede della Camera dei deputati

di Francesca Piscioneri

ROMA (Reuters) - Senza fiducia, con 316 voti a favore, 6 contrari e 5 astenuti la Camera ha dato il via libera al Jobs act che ora passa al Senato per la terza e definitiva lettura.

In segno di protesta contro la riforma che sancisce il tramonto dell'articolo 18, circa quaranta deputati Pd non hanno partecipato al voto, due - tra i quali Pippo Civati - hanno votato contro e due si sono astenuti, aprendo di fatto una lacerazione nel partito del premier Matteo Renzi.

Il Pd alla Camera ha 293 deputati.

Oltre ai dissidenti del Pd anche tutte le opposizioni hanno lasciato l'aula prima del voto.

Il governo punta al via libera finale entro il 9 dicembre per poi varare i decreti delegati entro fine anno in modo da rendere operativa la riforma all'inizio del 2015.

La principale novità introdotta alla Camera è la modifica all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sulla falsariga dell'ordine del giorno votato a settembre dalla Direzione del Pd. Matteo Renzi avrebbe voluto disciplinare la materia direttamente nei decreti delegati, ma una fetta di partito ha insistito per anticipare subito alcuni paletti entro i quali si dovrà sviluppare l'azione del governo.

Il parere del Parlamento sui decreti legislativi, infatti, non è vincolante.

Nonostante la mediazione, una minoranza del Pd non ha comunque votato il testo ritenendo che la riforma svuoti le tutele in caso di licenziamenti ingiusti.

Parlando in aula, l'ex sottosegretario all'Economia Stefano Fassina ha detto: "Insieme a una trentina di colleghi non possiamo dare il nostro consenso al disegno di legge delega".

Pippo Civati, tra i principali oppositori di Renzi all'interno del Pd, intervenendo a titolo personale, ha annunciato: "Non mi assocerò al voto del gruppo".

La delega prevede che per i lavoratori assunti con il nuovo contratto a tutele crescenti sarà possibile, in caso di licenziamenti senza giusta causa, chiedere il reintegro solo per discriminazione.

Qualora il licenziamento fosse per motivi disciplinari il reintegro sarà ammesso solo in alcune fattispecie, da specificare in sede di decreti delegati.

© Reuters. Palazzo Montecitorio, sede della Camera dei deputati

Il lavoratore avrà invece diritto a un indennizzo in denaro, ma non al reintegro, se il licenziamento avverrà per ragioni economiche.

Matteo Renzi su Twitter dice "grazie ai deputati che hanno approvato il JobsAct senza voto di fiducia. Adesso avanti sulle riforme. Questa è lavoltabuona".

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