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Tassi d’interesse: ecco perché la Fed non taglierà prima di giugno - Schroders

Pubblicato 25.01.2024, 12:06
© Reuters

Investing.com – “Ci aspettiamo che il primo taglio dei tassi avvenga a giugno, seguito da un allentamento ad ogni altra riunione fino alla fine del 2024”, è questa la previsione di George Brown, economista di Schroders (LON:SDR), sulle prossime mosse di politica monetaria della Fed. Secondo l'economista, il rischio di un rialzo dell'inflazione e le incertezze politiche suggeriscono che non ci sarà nessun taglio anticipato a marzo. Tuttavia, con l'estate dovrebbe iniziare la discesa. “Entro la fine dell'anno – sostiene Brown -, i dati dovrebbero mostrare in modo convincente che i tassi restrittivi non sono più necessari, tanto che ci aspettiamo che da lì in poi la Fed tagli ad ogni riunione per riportare i tassi alla neutralità, che secondo le nostre stime sarà attorno al 3,50%, partendo dal presupposto che il tasso di interesse neutrale reale sia compreso tra l'1,25% e l'1,50%”.

L’economia Usa ha retto l’impatto

Per spiegare le ragioni delle sue conclusioni, l’esperto parte da un aneddoto particolare. “Esattamente un anno fa – racconta Brown -, il presidente della Federal Reserve Jerome Powell ha ricevuto una videochiamata da qualcuno che pensava fosse il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Si trattava invece di una coppia di burloni russi, che in seguito hanno pubblicato una clip in cui Powell sembrava affermare che la banca centrale non conosceva un "modo indolore per far scendere l'inflazione". Sebbene la Fed abbia messo in dubbio la veridicità della clip, la maggior parte degli economisti ha convenuto che per raggiungere la stabilità dei prezzi è necessaria una recessione o una crescita anemica”.

Tuttavia, gli eventi successivi hanno smentito le previsioni. “Nei 12 mesi successivi – riassume l’analista - l'economia statunitense si è dimostrata straordinariamente resiliente di fronte ai tassi restrittivi, con una crescita del Pil stimata al 2,5% e una media mensile di 225.000 lavoratori non agricoli (non-farm payroll). Nello stesso periodo, l'IPC core è scesa dal 5,7% al 3,9% e l'inflazione è diminuita ancora di più se si esclude la categoria degli alloggi, che domina il 40% dell'indice. Sulla base di questa misura più ristretta dell'IPC core, i prezzi sono ora più alti solo del 2,2% rispetto a un anno fa”.

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L’inflazione supercore sarà determinante

Contemporaneamente, prosegue Brown, “l'inflazione degli alloggi sembra essere in fase di rientro verso il trend, grazie al calo degli affitti. È probabile che i prezzi dei beni di base rimangano stabili o addirittura diminuiscano, anche tenendo conto delle recenti disruption nel Mar Rosso”. Ad essere meno certo, tuttavia, è se i servizi core al netto degli alloggi (o "supercore") si modereranno. E poiché si tratta del dato che rappresenta il “riflesso più fedele delle pressioni sui prezzi a livello nazionale”, secondo l’economista sarà proprio questo “a determinare se e quando la Fed taglierà i tassi quest'anno”.

La centralità del mercato del lavoro

In particolare, argomenta Brown, “l'andamento dell'inflazione "supercore" quest'anno dipenderà in larga misura dagli sviluppi del mercato del lavoro, dato che il personale è il costo maggiore per la maggior parte dei fornitori di servizi. È incoraggiante notare che sono stati fatti molti progressi nel riequilibrio del mercato del lavoro dopo la pandemia. Le intenzioni di assunzione sono state gradualmente ridotte e gli immigrati stanno sostituendo i lavoratori che sono andati in pensione anticipata. Inoltre, il numero di persone che lasciano il lavoro è diminuito, il che suggerisce che c'è una minore rotazione e concorrenza per i lavoratori”.

Ma se in periodi “normali” questo dovrebbe portare a una moderazione della crescita dei salari, date le circostanze attuali, il risultato non è affatto garantito. “Soprattutto perché sarà un anno di elezioni – precisa Brown -, che quasi certamente vedranno una rivincita tra Joe Biden e Donald Trump. La possibilità di due esiti molto diversi potrebbe mantenere alta la domanda di lavoro, dato che le aziende di solito rinunciano agli investimenti nei periodi di incertezza. Le aziende potrebbero invece scegliere di utilizzare la flessibilità offerta dal mercato del lavoro per far fronte alle fluttuazioni della domanda”.

Per questo motivo, “la crescita dei salari potrebbe rimanere sostenuta e la produttività potrebbe risultare debole”, immagina l’esperto di Schroders. “La combinazione di questi elementi – aggiunge - porterebbe in ultima analisi a una pressione al rialzo dei costi unitari del lavoro e, di conseguenza, all'inflazione supercore. Pertanto, sebbene gli investitori stiano valutando una probabilità vicina all'80% che i tassi vengano tagliati a marzo, riteniamo che ciò sia prematuro, dato che i rischi per l'inflazione sembrano ancora inclinati verso l'alto e considerato il tono cauto adottato dal FOMC”.

Tuttavia, come anticipato, il taglio dei tassi potrebbe non tardare molto. “La crescita è destinata a indebolirsi e il mercato del lavoro a normalizzarsi quest'anno”. In questo contesto, secondo l’economista l'attuale atteggiamento sul fronte della politica monetaria sta diventando eccessivamente restrittivo, “soprattutto in termini reali con la moderazione dell'inflazione”. Inoltre, conclude, “dato che i ritardi tra l'azione politica e la reazione dell'economia sembrano essersi allungati, il FOMC non può permettersi di aspettare la piena conferma che la lotta contro l’inflazione è vinta”. Ed ecco che quindi, per Brown, se a marzo non s’ha da fare, l’occasione giusta per tagliare si presenterà a giugno.

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