di Luca Trogni
MILANO (Reuters) - Negli ultimi 15 giorni il concetto è stato ribadito da Fondo monetario internazionale, Commissione europea e Banca d'Italia.
In Italia, diversamente da quanto deciso da Matteo Renzi, sarebbe più efficace un taglio delle elevate tasse sul lavoro rispetto a quello relativo alla prima casa. La riduzione delle prime, aumentando la competitività delle imprese, impatterebbe più direttamente sulla crescita, mentre l'abolizione delle imposte sugli immobili, peraltro prassi comune nei Paesi industrializzati, non garantisce con sicurezza un effetto sui consumi. La misura è presentata come definitiva, come lo erano state per due volte quelle del governo Berlusconi. Ma, proprio per i precedenti, non è detto venga recepita come tale dagli italiani ed abbia quindi gli effetti sperati sulla domanda interna.
Di fronte a questa critica Renzi reagisce con decisione, ricordando che si tratta di un vantaggio generalizzato, essendo l'80% delle famiglie italiane proprietario di case, e di una misura necessaria per rilanciare il settore edilizio. Ma soprattutto rivendica la libertà di scelta del governo in materia di politica economica.
La misura sulla casa non sarà l'unico argomento di discussione con Bruxelles. Nel documento sul budget 2016 che il governo deve presentare alla Commissione entro metà ottobre dovranno essere indicate le misure che danno corpo alle stime programmatiche e soddisfano in vincoli europei.
Sulla spending review, a lungo tempo considerata il cuore delle scelte dell'esecutivo per far tornare i conti, le certezze si sono assottigliate.
Ad aprile il governo aveva previsto un risparmio di 10 miliardi, necessario per impedire il rialzo di Iva e accise previsto dalla clausola di salvaguardia. Ma nella recente nota di aggiornamento è stato preannunciato un ricorso al contenimento delle uscite pubbliche più graduale, con un effetto espansivo sull'economia ma con un impatto negativo sui conti pubblici come effetto collaterale.
Ne deriva qualche dubbio per gli obiettivi di deficit e debito/pil, rivisti verso l'alto rispetto a primavera e che già si poggiano sulla richiesta di esercitare la clausola europea sugli investimenti e, più ampiamente di quanto già ottenuto, quella sulle riforme.
Sul tavolo emerge quindi un altro possibile tema di confronto. Il rapporto debito/pil per il 2016 è stato fissato al 131,4%, livello che rispetterebbe la regola del debito 'forward looking' prevista dalle norme europee solo grazie alla revisione al rialzo degli introiti da privatizzazioni per gli anni seguenti.
Si tratta del primo calo del rapporto dopo otto anni di rialzi, ma, come fa notare l'ufficio parlamentare di bilancio (organo che controlla istituzionalmente le stime del governo), uno sforamento di due decimi sarebbe sufficiente per spingere il debito/pil sopra il livello massimo consentito dalle regole di Bruxelles.
La linea dell'esecutivo di fronte a possibili obiezioni sui differenti fronti è chiara: abbiamo fatto, e bene, i compiti a casa e per questo non deve essere interrotto lo sforzo riformatore necessario per la crescita. Guardando unicamente ai giorni più recenti, l'Italia può vantare il più elevato indice della manifattura europea, dati sul lavoro in miglioramento, un disavanzo dei conti dello Stato in riduzione di quasi 20 miliardi rispetto al 2014.
La prima risposta, indiretta, della Commissione sarà a inizio novembre: le nuove stime macro sull'Italia mostreranno se Bruxelles condidive il quadro programmatico di Roma.
Da lì si comincerà a comprendere se a fine novembre Bruxelles sarà disponibile ad accettare la linea di politica economica poco ortodossa scelta da Renzi.