ROMA (Reuters) - Una dozzina di grandi aziende committenti di servizi di call center hanno sottoscritto oggi a Palazzo Chigi un patto, sostenuto dal governo, per contrastare la delocalizzazione e la riduzione degli stipendi dei lavoratori.
Tra i firmatari del protocollo ci sono aziende come Eni (MI:ENI), Enel (MI:ENEI), Poste Italiane (MI:PST), Unicredit (MI:CRDI), Mediaset (MI:MS), Intesa Sanpaolo (MI:ISP), Telecom Italia (MI:TLIT).
"È un impegno oneroso per le imprese ma lancia un segnale virtuoso al Paese", ha detto il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ai rappresentanti delle aziende.
"Chi si batte per la società aperta e il libero mercato non è affatto insensibile all'esigenza di tutelare il lavoro", ha detto ancora il premier, aggiungendo che il governo promuove "politiche di protezione e tutela che rendano socialmente gestibile l'innovazione".
Il protocollo, che ha la durata di un anno e mezzo, prevede un impegno delle grandi imprese committenti a limitare la delocalizzazione fuori dall'Italia, garantendo che almeno l'80% dei servizi in outsourcing siano effettuati sul territorio nazionale (e almeno il 95% delle attività gestite direttamente).
I firmatari si impegnano anche a escludere i call center con un costo del lavoro orario inferiore ai parametri di riferimento e a prevedere la cosiddetta "clausola sociale", per trovare soluzioni di sostegno ai lavoratori in caso di cambio del fornitore di servizi.
Il settore dei call center impiega in Italia circa 80.000 persone, secondo i dati di Palazzo Chigi, in grandissima parte sopra i 30 anni. È un settore ad altissima intensità di lavoro (il costo del lavoro rappresenta il 76%), scosso da una forte crisi di redditività, con un calo di 10 punti percentuali in cinque anni. Di recente la vertenza Almaviva ha sollevato l'attenzione sulle condizioni dei lavoratori dei call center.
Nell'ultima legge di Bilancio sono state rafforzate le sanzioni per chi delocalizza in paesi extra-Ue senza comunicazione preventiva. Nei primi quattro mesi dell'anno, ha detto il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, sono state comminate 120 sanzioni.
(Massimiliano Di Giorgio)