Crollo o correzione dei mercati? In ogni caso, ecco cosa fare adessoVedi i sopravvalutati

Che cosa significano tassi d’interessi più alti negli USA

Pubblicato 26.02.2018, 14:14
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Il biglietto verde ha iniziato la settimana con il piede sbagliato, perdendo parte dei guadagni della scorsa settimana.

Il dollaro è sceso in modo diffuso, mentre continua a migliorare la propensione al rischio.

L’Indice del Dollaro ha perso lo 0,40%, in calo a 89,51, intanto l’azionario globale ha compiuto un rally, mentre i rendimenti dei titoli del Tesoro sono scesi leggermente.

Questi ultimi sono aumentati considerevolmente negli ultimi mesi, ma il movimento non si è tradotto in un USD forte.

Che cosa sta succedendo?

Di recente i mercati finanziari sono sempre più preoccupati per la potenziale accelerazione delle pressioni inflazionistiche. Come mai gli investitori, in passato preoccupati per l’inflazione insufficiente, ora temono un eccesso d’inflazione, e come mai questo cambiamento è avvenuto nel giro di pochi mesi?

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Negli ultimi anni, infatti, il mercato monitorava gli indici d’inflazione sperando in pressioni più forti sui prezzi. Allora, una sorpresa al rialzo dell’IPC o del PCE di fondo innescavano un rally del dollaro o speculazioni su un’accelerazione del corso di restringimento della Fed.

Ultimamente invece succede il contrario.

Ogni volta che i dati economici lasciano intravedere un’inflazione più elevata, il dollaro cala.

Esemplare a questo proposito è la pubblicazione del rapporto sul lavoro di gennaio, che ha mostrato un rialzo inaspettato della crescita delle retribuzioni, e in certa misura anche il rapporto IPC riferito allo stesso mese.

Ciò tende a suggerire che il mercato è giunto a conclusioni diverse sulle conseguenze della liquidazione del bilancio e del rialzo dei tassi d’interesse di breve termine della Fed.

Si potrebbe infatti ipotizzare che tassi d’interesse più alti comportano un dollaro più forte, con un miglioramento del contesto degli investimenti.

Ma tassi d’interesse più alti si traducono anche in debiti più costosi.

Ciò comporta varie implicazioni, in particolare per il governo USA e le imprese private.

Per il primo, le conseguenze sono notevoli, perché tassi più elevati sulle scadenze brevi e lunghe dei titoli di Stato si traducono in costi di indebitamento più elevati per il governo federale, cosa che influisce sul budget e sul debito pubblico.

L’epoca del debito a basso costo sta per finire, e ciò significa deficit più elevato e maggiori difficoltà sulla via della sostenibilità fiscale.

Come se non bastasse, i tagli fiscali di Trump non faranno che aggravare il disavanzo di bilancio e il debito. Pertanto i mercati hanno ragione a essere preoccupati.

Per quanto riguarda gli effetti sulle imprese private, tassi d’interesse più elevati faranno ovviamente aumentare il costo del debito.

Va da sé che molte aziende saranno meno redditizie, perché aumentano i costi di finanziamento.

Per le società fortemente indebitate, che sopravvivono solo perché i tassi d’interesse sono rimasti molto bassi a lungo, le conseguenze sono peggiori.

Anche a causa dell’appetito insaziabile degli investitori, sarà una brutta caduta.

Molte società “zombie” pagheranno un prezzo molto salato con il calo dell’indebitamento.

In seconda battuta, tassi d’interesse più alti potrebbero tradursi in un aumento della disoccupazione e rallentamento della crescita economica.

Il rapido aumento della volatilità delle azioni e la continua debolezza del biglietto verde suggeriscono che i mercati finanziari prendono finalmente sul serio la situazione – e a ragion veduta.

È difficile dire quali saranno le conseguenze di medio e lungo termine.

È lecito però ipotizzare che non sarà una passeggiata, perché questo cambiamento influirà pesantemente sia sulle imprese private che sul governo USA.

È dunque ragionevole ipotizzare che l’USD continuerà a calare gradualmente, mentre la recente impennata della volatilità sulle borse potrebbe essere stata un campanello d’allarme.

In fin dei conti, ci sarà un motivo per cui la Fed è stata così prudente nel normalizzare la politica monetaria.

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