Tempismo, perseveranza e 10 anni di tentativi, faranno sembrare che tu abbia raggiunto il successo da un giorno all’altro (B. Stone).
Settimana densa di dati significativi quella che si apre oggi. Si parte alle 10:00 con il PMI manifatturiero dell’Europa di settembre (stima 43,4 punti contro 43,5 di agosto), mentre alle 11:00 è la volta del tasso di disoccupazione di agosto sempre dell’Europa (stima 6,4 invariato rispetto a luglio). Alle 15:45 uscirà il PMI manifatturiero USA di settembre (stima 48,9 punti contro 47,9 di agosto) e alle 16:00 l’ISM manifatturiero sempre USA di settembre (stima 47,8 punti contro 47,6 di agosto).
Venerdì scorso l’inflazione dell’Europa di settembre è risultata in decisa contrazione rispetto ad un anno fa (4,3% contro 5,2% di agosto), segnale inequivocabile che la politica monetaria restrittiva della BCE sta avendo gli effetti sperati sulla frenata della crescita dei prezzi. Riteniamo che la disinflazione possa continuare, ma solo a patto che i prezzi dell’energia (lato offerta) non ricomincino ad aumentare. E’ chiaro che in questo caso, trattandosi di inflazione da offerta, la disinflazione che passi da tassi di interesse in crescita si può verificare solo in presenza di una recessione. Crediamo che l’attenzione richiesta a gran voce da diversi Governi dell’Europa alla BCE, sia perlopiù indirizzata ad evitare questo effetto.
Nelle ultime settimane l’aumento dei tassi di interesse è stato il motore dominante nei mercati finanziari. Motore acceso principalmente da una ricalibrazione delle aspettative per la politica della FED, con il sentiment del mercato che è stato indebolito dai suoi commenti che suggeriscono che le impostazioni di politica monetaria rimarranno restrittive più a lungo di quanto gli investitori avevano precedentemente previsto.
Da tempo siamo dell’idea che la FED tende ad essere prudente quando si tratta di ridurre l’inflazione. Non siamo quindi sorpresi dal messaggio che il tasso ufficiale potrebbe restare più alto più a lungo. Tuttavia, non siamo nemmeno del tutto convinti che la FED dovrà adottare ulteriori misure restrittive in questa fase. L’ultimo intervento ha fatto salire i tassi e abbassare i prezzi delle azioni, una reazione che a nostro avviso potrebbe creare un’opportunità interessante.
La settimana scorsa il rendimento dei titoli del Tesoro USA a 10 anni è balzato sopra il 4,6%, il livello più alto dal 2007. Dopo un decennio e mezzo di tassi di interesse estremamente bassi, ciò ha evidentemente comportato qualche disagio. Tuttavia, abbiamo spesso visto questi episodi di rialzo dei tassi produrre catalizzatori interessanti per i rally del mercato azionario nell’ultimo anno e mezzo.
I precedenti picchi del rendimento dei titoli del Tesoro a 10 anni nel giugno e nell’ottobre dello scorso anno, così come nel marzo di quest’anno, sono stati seguiti da robusti guadagni azionari nei mesi successivi.
È importante sottolineare inoltre che questa volta il contesto inflazionistico è notevolmente più favorevole. Le fasi di aumento dei tassi dello scorso anno si sono verificate mentre l'inflazione era in aumento. Oggi, l’inflazione è in una tendenza al ribasso che sembra sostenibile (anche se probabilmente il percorso di disinflazione non sarà perfettamente lineare). È vero che i rendimenti a lungo termine sono aumentati più di quanto i mercati si aspettassero.
Ma con la moderazione delle pressioni sui prezzi al consumo e le campagne di inasprimento della FED prossime alla fine, riteniamo che sia giustificato affermare che i tassi sono vicini al loro picco per questo ciclo. Pertanto, se l’inflazione continua a scendere e lo slancio economico si attenua nei prossimi mesi, come previsto, un nuovo calo dei tassi di mercato potrebbe gettare le basi per un rimbalzo di fine anno.
Settembre è stato un mese pessimo per i mercati, con l’S&P 500 in calo di quasi il 5%, portando il rendimento da inizio anno al 12%. L'aumento dei tassi e i timori che la politica più restrittiva della FED possa indebolire l'economia hanno portato inoltre ad un'ulteriore debolezza della crescita e degli investimenti a piccola capitalizzazione, con gli indici Nasdaq e Russell 2000 che hanno entrambi perso quasi il 6% nel mese.
Se il passato può insegnarci qualcosa, vediamo che la storia del mercato migliora da qui in poi. Dal 1990, negli 11 anni in cui le azioni crollarono nel terzo trimestre, l’S&P 500 è rimbalzato con un guadagno nel successivo quarto trimestre nove volte, con un rendimento medio impressionante del 10,6% negli ultimi tre mesi dell’anno. I titoli a piccola capitalizzazione hanno fatto ancora meglio in quegli anni, registrando un guadagno medio dell’11,4% nell’ultimo trimestre. Il 2000 e il 2008 sono stati i due casi in cui il mercato è crollato sia nel terzo che nel quarto trimestre.
Sebbene i rendimenti del quarto trimestre siano stati più elevati dopo i cali del terzo trimestre, il quarto trimestre è tradizionalmente un periodo solido per le azioni, con un aumento medio trimestrale complessivo del 5% a partire dal 1990.
Mediamente quindi, con le eccezioni di cui sopra, il quarto trimestre ha storicamente registrato rendimenti positivi, in particolare dopo il calo del terzo trimestre.