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Lo stallo in Venezuela e nello scontro commerciale pesa sul greggio e spinge l’oro

Pubblicato 11.02.2019, 08:56
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

Lo stallo in corso nella lotta per il potere in Venezuela e nello scontro commerciale tra USA e Cina sta ostacolando la ripresa del greggio mentre i timori per la crescita globale, per l’insidiosa produzione da scisto e per l’eccesso di barili di greggio bloccati in mare erodono i guadagni del mercato di quest’anno.

L’oro e il dollaro, nel frattempo, stanno lottando con tutte le forze per ottenere lo status di asset rifugio preferito contro i problemi finanziari e politici del mondo.

Un passo avanti e due indietro

Dopo essere schizzati, con alcune pause, da Natale e nelle prime due settimane dell’anno, i prezzi del greggio sono entrati in modalità “un passo avanti e due indietro”.

WTI 5-Hour Chart

All’attestazione di venerdì, il greggio USA West Texas Intermediate segnava ancora un rimbalzo del 16% sull’anno, dopo un’impennata di quasi il 19% del mese scorso, la maggiore mai registrata nel mese di gennaio.

Ma gli scambi a senso unico che si sono goduti i tori del greggio fino a metà gennaio sono scomparsi, con giornate più caratterizzate da rialzi modesti e netti ribassi. Il tonfo della scorsa settimana del 5% è stato il peggiore dall’inizio dell’anno.

Gli stalli in Venezuela e Cina hanno giocato ruoli fondamentali per l’impantanamento del greggio.

Nel primo caso, due settimane dopo che il leader dell’opposizione Juan Guaido si è autoproclamato presidente ad interim della nazione sudamericana sfidando l’attuale leader Nicolas Maduro, l’impasse tra i due si è trasformata in una specie di stasi. Sebbene decine di paesi abbiano riconosciuto Guaido, Maduro continua a controllare l’apparato statale venezuelano, compreso l’esercito.

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In questo stallo prolungato, non aspettatevi che Maduro voli via

L’agenzia di consulenza di New York Energy Intelligence scrive nella sua nota settimanale:

“Per il momento, i due presidenti sembrano stare radunando alleati e cercando di decidere le prossime mosse, ed è probabile una situazione di stallo prolungata”.

Raul Gallegos, direttore associato di Control Risks, aggiunge:

“Se vi aspettate che Maduro prenda un aereo per Cuba tra un paio di settimane, vi sbagliate. Non succederà”.

Lo stallo implica anche che le sanzioni imposte dal governo Trump sulla compagnia petrolifera nazionale PDVSA controllata da Maduro hanno avuto un impatto limitato sui prezzi del greggio finora. Le sanzioni statunitensi contro il Venezuela hanno comportato altre due preoccupazioni per Trump: avere a che fare con un’Arabia Saudita determinata a far salire i prezzi del greggio proprio ora che l’economia USA è in ripresa, e continuare la sua gara al rialzo sull’Iran.

Arabia Saudita ed Iran vanno ad aggiungersi alla saga venezuelana

Trump conta sull’aiuto dell’Arabia Saudita per cercare di compensare eventuali carenze delle scorte di greggio causate dalle restrizioni imposte alla PDVSA, cercando allo stesso tempo di impedire all’OPEC, controllata dai sauditi, di formalizzare un patto con la Russia che potrebbe far salire i prezzi del greggio.

Senatori statunitensi appartenenti alle varie fazioni dello spettro politico hanno preparato un atto per il Dipartimento della Giustizia per far causa ai membri OPEC per violazione delle leggi antitrust se il cartello dovesse effettivamente formalizzare la sua cooperazione con la Russia.

Allo stesso tempo, alle raffinerie nella Costa del Golfo USA colpite dall’assenza di greggio venezuelano funzionari della Casa Bianca hanno detto di non aspettarsi alcuna disponibilità dalle riserve petrolifere strategiche in quanto sono “certi” che i sauditi aumenteranno le esportazioni di greggio verso gli Stati Uniti nelle prossime settimane, secondo quanto riporta l’agenzia di servizi energetici S&P Global Platts.

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Platts sottolinea però che i funzionari sauditi non hanno indicato alcun piano per compensare eventuali carenze delle scorte venezuelane, con l’OPEC impegnata a tagliare la produzione per spingere i prezzi.

A Caracas la posta in gioco è alta ma sono poche le certezze su come andrà a finire

Per il greggio, in particolare, ecco cosa c’è in gioco nelle crisi in Venezuela e Iran:

Le sanzioni USA hanno precedentemente rimosso un milione di barili al giorno di greggio iraniano dal mercato e potrebbero colpirne un’altra tranche se le esenzioni dovessero essere annullate a maggio, implicando che potrebbero essere eliminati quasi 2 milioni di barili al giorno di scorte in totale. Se si considerano le altre interruzioni delle forniture (dovute alle elezioni in Nigeria in programma questo mese o all’intensificazione delle lotte per il potere in Libia) si nota come i prezzi del greggio potrebbero andare sotto un’ulteriore forte pressione.

A controbilanciare tutto questo ci sono i quasi 7 milioni di barili venezuelani bloccati in mare, senza alcuna certezza su chi li pagherà.

Phil Flynn, analista di The Price Futures Group a Chicago, riassume così la situazione: “Nessuno sa con certezza come andrà a finire”.

Oro e dollaro lottano per lo status di rifugio nello scontro commerciale

Tornando alla Cina, a Pechino oggi prenderà il via un nuovo round di trattative commerciali, guidate dal vice Rappresentante per il Commercio USA Jeffrey Gerrish, prima di quelle principali che vedranno coinvolti il Rappresentante per il Commercio USA Robert Lighthizer e il Segretario al Tesoro Steven Mnuchin nel corso della settimana.

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I negoziatori USA stanno facendo pressione sulla Cina per quanto riguarda le richieste di vecchia data, compresi il furto della proprietà intellettuale e il costringere le compagnie USA a condividere la propria tecnologia con le aziende cinesi.

Pechino dovrà trovare un’intesa prima della scadenza del 1° marzo, quando i dazi USA su 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi passeranno dal 10 al 25%.

Il Presidente Donald Trump la scorsa settimana ha reso noto che non ha in programma di incontrare il leader cinese Xi Jinping prima della scadenza, ridimensionando le speranze di una risoluzione rapida.

L’opportunità mancata di un summit USA-Cina ha aiutato l’oro a finire sopra i 1.300 dollari. Ma, in generale, è la valuta statunitense ad essere di fatto il rifugio nello scontro commerciale, salendo per la quinta volta consecutiva venerdì.

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