Per il mondo, e per i mercati finanziari, i guai non sono ancora finiti.
L’azionario USA è crollato sull’onda del panico per una possibile ondata d’infezioni da coronavirus dopo le riaperture, che ha mandato in frantumi il sentiment degli investitori; Anthony Fauci, il maggior esperto USA di malattie infettive, ha infatti avvertito che riaprire le attività troppo presto potrebbe avere gravi conseguenze.
Nelle ultime 48 ore, c’è stata una brusca inversione a U nel sentiment degli investitori, passati dall’entusiasmo per la riapertura delle imprese al timore che le cose possano poi andare malissimo. E, questa volta, governi e banche centrali avrebbero munizioni limitate per combattere contro un peggioramento della crisi sanitaria ed economica globale.
Martedì l’S&P500 e il Nasdaq hanno chiuso in calo del 2%, in Asia le borse sono state contrastate. Il Nifty indiano ha guadagnato il 2%, l’Hang Seng è rimasto piatto, mentre Nikkei (-0,41%), ASX 200 (-0,21%) e Composite di Shanghai (-0,18%) hanno chiuso in perdita.
L’attività sui futures del FTSE (-0,95%) e del DAX (-1,44%) lascia presagire un’altra giornata di vendite sulle piazze azionarie europee.
Sul fronte dei dati, a marzo il surplus delle partite correnti giapponese è sceso a 1,917 mila miliardi di yen, dai 2,787 mila miliardi del mese precedente. Il surplus nelle merci è sceso da 0,70 a 0,10 mila miliardi di yen, il deficit nei servizi è diventato positivo. Lo yen giapponese è rimasto comunque forte sulla scia dell’aumentata richiesta di beni rifugio. L’USD/JPY è stato scambiato sotto il livello a 107,30 e si appresta a compiere un altro tentativo sotto la soglia a 107.
Il sentiment dei consumatori australiani, invece, è migliorato notevolmente a maggio, in previsione della ripartenza economica, sebbene il mercato non abbia reagito granché ai dati, che sembrano mostrare un certo scostamento; le ultime notizie suggeriscono, infatti, che l’ottimismo potrebbe essere fragile. L’AUD/USD è scivolato, consolidandosi sotto i 65 centesimi, e la crescente avversione al rischio potrebbe spianare la strada a una flessione verso l’area 0,64/0,6380.
In Nuova Zelanda, come previsto, i tassi d’interesse sono rimasti invariati al minimo storico dello 0,25%, ma il limite massimo del programma di acquisto asset su larga scala (LSAP) è quasi raddoppiato, passando da $33 a $60 miliardi. Il kiwi è sprofondato a 0,60 contro il biglietto verde, sulla scia dell’annuncio di una politica monetaria accomodante e dei deflussi dovuti all’avversione al rischio.
Le valute oceaniane cadranno sicuramente in disgrazia man mano che crescono le apprensioni per la normalizzazione post-coronavirus, che potrebbe non essere così agevole come previsto dai mercati.
I dati, pubblicati stamattina, riferiti a produzione e crescita nel Regno Unito hanno sorpreso al rialzo. A marzo, la produzione industriale è crollata dell’8,2% a/a, a fronte del -9,3% previsto dagli analisti, e il PIL del primo trimestre si è contratto del 2% contro il 2,5% stimato. La sterlina è rimbalzata brevemente a 1,2280, perché i dati, per quanto negativi, hanno superato le attese del mercato, ma poi i rialzi non hanno avuto lo slancio necessario per sfondare la resistenza (1,23), che coincide con la media mobile a 50 giorni, visto il piano, alquanto vago, per la riapertura delle imprese in Gran Bretagna, e sullo sgretolarsi delle speranze di una ripresa economica soddisfacente nei prossimi mesi. Nel Regno Unito, come altrove, per tornare alla normalità serviranno mesi, per cui il debito pubblico continuerà a lievitare e sarà necessario l’aiuto della banca centrale affinché tale debito sia assorbito dal mercato.
Poiché in gran parte delle economie sviluppate, i complici perfetti per questo stato di cose sono governi e banche centrali, nell’Eurozona gli umori si stanno guastando. La propensione per la moneta unica è frenata dal rischio di una capacità, potenzialmente ridotta, della Banca Centrale Europea (BCE) di offrire un aiuto esauriente al mercato, dopo la richiesta di spiegazioni della corte tedesca sulla portata delle decisioni di politica monetaria. Ieri l’euro ha compiuto un altro tentativo verso la sua media mobile a 50 giorni (1,0885) contro il biglietto verde, ma si è imbattuto in solide offerte su questo livello. Anche le cupe nubi tedesche che si addensano sulla BCE sono un fattore che verosimilmente colpirà più l’azionario europeo dei titoli USA nel caso in cui ci fosse un’altra ondata di vendite dettate dal panico, e, analogamente, lo frenerà se la propensione al rischio globale dovesse migliorare.
L’oro rimane ancorato vicino ai $1700 all’oncia. L’accelerazione della corsa verso i beni rifugio e il calo dei rendimenti USA hanno fornito supporto al metallo giallo sotto il livello dei $1700 ma, sui livelli attuali, gli investitori dubitano che l’oro sia in grado di proteggerli da una nuova ondata di vendite dettate dal panico sugli asset a rischio. Tuttavia, nell’eventualità di forti venti contrari sul mercato, confidiamo che il prezzo dell’oro balzi a $1800 senza troppe esitazioni.
Altrove, i rialzi sui mercati petroliferi rimangono circoscritti; dagli ultimi dati API è emerso che, la scorsa settimana, le scorte di petrolio USA sono aumentate di 7,6 milioni di barili. Oggi i dati dell’EIA, più ufficiali, dovrebbero confermare un incremento maggiore delle scorte petrolifere USA, deludendo notevolmente le attese degli analisti, che prevedono un aumento di 4,1 milioni di barili. Un nuovo balzo delle scorte di petrolio negli USA, oltre alle rinnovate tensioni sulle conseguenze di una seconda ondata di contagi da coronavirus per la prospettata ripresa economia, dovrebbero consegnare il timone del mercato agli orsi e incoraggiare una nuova ondata di vendite verso il livello dei $20.