di Luca Trogni
MILANO (Reuters) - Il calo del debito/pil è obiettivo ambito dal governo Renzi. L'ultima discesa risale ormai a quasi 10 anni fa. Ma anche quest'anno più di un fattore sembra far svanire il raggiungimento del target.
L'Italia cresce meno del previsto; il tasso di inflazione non si riprende nonostante la politica espansiva della Bce; il gettito da privatizzazioni rischia di rimanere sotto il miliardo rispetto agli otto previsti.
In questo quadro, ben peggiore di quello definito in primavera nel Documento di economia e finanza, la modesta discesa del debito/pil al 132,4% dal 132,7% di fine 2015 sembra allontanarsi.
Ma non tutto è perso, vi è un fattore poco considerato che riavvicina decisamente il rapporto all'obiettivo.
Il Pil che viene considerato nel denominatore del rapporto è quello nominale che si compone della crescita reale -- tasto dolente in questo 2016 -- e del deflatore del Pil che misura e pondera le variazioni di prezzo delle sue componenti: consumi, investimenti, esportazioni e importazioni.
Queste ultime, avendo origine in paesi esteri, riducono il valore del prodotto interno lordo. E analogamente le variazioni di prezzo delle importazioni vengono considerate con il segno opposto: se i loro prezzi salgono fanno diminuire il deflatore del Pil, se scendono lo fanno aumentare.
Ebbene, nei primi sei mesi dell'anno il deflatore del Pil, proprio grazie ai prezzi dell'import, è salito di oltre l'1%.
"Per l'Italia c'è stato un miglioramento della ragione di scambio. I prezzi all'importazione sono scesi molto ed essendo l'import una componente negativa del Pil questo fa aumentare il deflatore", spiega Stefania Tomasini, responsabile di Prometeia per l'economia italiana.
E all'interno dei deludenti dati Istat relativi all'economia italiana nel secondo trimestre, emerge che la crescita tendenziale del deflatore dell'1,3% ha spinto il rialzo del Pil a prezzi correnti a +2,1%.
Si tratta di valori pienamente in linea con quelli del Def che per l'intero 2016 indicava +1,0% per il deflatore del Pil e +2,2% per il Pil nominale.
ATTENZIONE A DISPONIBILITA' LIQUIDE TESORO
Basterà un rialzo di questa portata per fermare il rialzo del debito?
L'andamento dei conti pubblici è l'altra faccia del problema. Nei primi sette mesi dell'anno il debito pubblico è aumentato di circa 80 miliardi arrivando a superare i 2.250
Alla riduzione del debito mancherà in sostanza l'apporto delle privatizzazioni, visto lo slittamento dell'ipo di Ferrovie dello Stato e il venir meno di un nuovo collocamento di azioni di Poste Italiane (MI:PST).
In quest'ultimo caso pesano le scelte dello stesso Renzi: il focus posto sul referendum costituzionale e l'incertezza sul suo esito consigliano agli investitori un atteggiamento di attesa rispetto ad asset pubblici, elemento che suggerisce un rinvio dell'offerta. Con la conseguenza di chiudere l'anno, salvo sorprese dell'ultimo momento come passate cessioni dicembrine alla Cassa Depositi e Prestiti, con la sola privatizzazione di Enav, un'operazione di successo che però ha portato nelle casse del Tesoro solo 850 milioni.
Esiste però una via per compensare questo flop. Degli 80 miliardi di maggior debito solo 19 sono dovuti al maggior fabbisogno. Gli altri 65 hanno aumentato la liquidità a disposizione del Tesoro. In buona parte si ridurranno con le esigenze di cassa del periodo agosto-dicembre, che nei cinque mesi finali del 2015 sono state pari a circa 34 miliardi. Quest'anno il lieve miglioramento del fabbisogno potrebbe contenere di qualche miliardo queste uscite, ma soprattutto via XX Settembre potrebbe scegliere di far scivolare qualche spesa da dicembre a gennaio e chiudere l'anno con disponibilità liquide più basse dei 30 miliardi di fine 2015.
In questo modo le mancate entrate da cessione di asset sarebbero più che compensate ed il calo del debito/pil più vicino.
E un debito/pil in discesa favorirebbe un dialogo meno ostico con la Commissione europea sul mancato rispetto degli impegni presi per i conti pubblici.