L'età dell'oro di Trump e gli interrogativi sulle valutazioni e la Fed

Pubblicato 21.01.2025, 13:13
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US500
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a cura di Michele De Michelis, Responsabile investimenti di Frame Asset Management

Eccoci finalmente arrivati al tanto atteso momento dell'insediamento di Trump. Ora sapremo direttamente da lui e dal suo staff cosa intenderà fare realmente durante il suo secondo mandato.

Da quando è stato eletto, infatti, non abbiamo fatto altro che assistere a capovolgimenti di umore sul mercato azionario americano, che hanno portato l'indice a muoversi in un trading range tra 5800 e 6100 punti (anche se il massimo intraday è stato di 6099.97 punti).

Gli operatori del mercato obbligazionario, invece, direi che hanno avuto le idee molto più chiare, portando il rendimento del decennale americano intorno ad area 4,8 % , molto vicino al livello del

5 % che viene considerato una sorta di "Linea Maginot " e che già nel 2023 aveva saputo respingere gli attacchi dei falchi.

Anche il dollaro ha mostrato i muscoli, andando a scambiare contro l'euro, seppur per poco tempo, sotto 1.02, offrendo un chiaro segnale sulla forza dell'economia americana rispetto a quella del Vecchio Continente.

Ma cos'è che gli investitori si aspettano e temono allo stesso tempo da questo controverso ma sicuramente iconico Presidente?

Partendo dagli aspetti positivi, ovviamente il desiderio che tutti hanno nel proprio intimo è quello di vedere un proseguimento delle politiche economiche (sia fiscali che monetarie) espansive che hanno alimentato i rialzi di Borsa degli ultimi otto anni, seppur intervallati da due bear market di discreta entità.

Il problema è che queste politiche rischiano di far ripartire l'inflazione che la Fed stava praticamente sconfiggendo, ma che ultimamente, complice un mercato del lavoro ancora in salute, sta resistendo neanche fosse un gladiatore nella fossa con i leoni.

Inoltre, il neo eletto Presidente non ha mai nascosto la volontà di inserire dazi all'importazione e di voler rimandare a casa i molti immigrati clandestini, mosse che però potrebbero avere l'effetto indesiderato di far aumentare i prezzi .

Credo invece che la Fed dal canto suo rimarrà molto più cauta e vorrà vedere gli impatti reali delle scelte del governo sul ciclo economico. Del resto, già nell'ultima riunione di dicembre del FOMC si era detto che, dei quattro tagli previsti soltanto tre mesi prima, la stima per l’anno 2025 si era abbassata a due.

Diciamo quindi che ci sono parecchi punti interrogativi per questo 2025, che arriva dopo due anni fantastici per lo Standard & Poor's che per effetto di questi rialzi oggi presenta dei multipli molto importanti, scambiando a circa ventitre volte il livello degli utili attesi, non propriamente a buon mercato direi.

Qual è il rischio che mi preoccupa di più? Proprio le valutazioni elevate, in particolare di quelle poche società che hanno guidato le performance dell'indice più rappresentativo.

Non sto dicendo che queste società non abbiano dimostrato di essere eccezionali in termini di redditività, ma solamente che a volte pagare un prezzo troppo alto per la qualità potrebbe non essere sempre un affare.

A tale proposito, mi viene in mente la storia delle cosiddette "Nifty /fifty " che andavano tantissimo di moda negli anni Sessannta e primi anni Settanta.

Praticamente un gruppo di cinquanta growth stocks che a quel tempo rappresentavano la crème de la crème delle società statunitensi.

La lista annoverava società di eccellenza di ogni settore dell’economia americana come Coca-Cola (NYSE:KO), Polaroid, P&G e General Electric (NYSE:GE).

Questi titoli avevano elevati livelli di capitalizzazione ed erano considerati perfetti per i cassettisti perché tendevano a salire costantemente del tempo.

L’estrema redditività di tali titoli in termini di capital gain li rese oggetto di continui e costanti acquisti da parte di investitori istituzionali. Per tale motivo, la consistente domanda spingeva in alto il valore dei titoli, creando quindi un circolo virtuoso che portava i prezzi a salire e più salivano più venivano richiesti.

La conseguenza fu un sensazionale incremento del Prezzo/utile (P/E all’inglese) dei titoli, se pensate che nel 1972 l’indice Standard & Poor’s 500 scambiava un P/E di circa 19 , mentre il valore medio riferito alle Nifty Fifty era vicino a 42 , con picchi come Polaroid che girava addirittura a novanta volte l’utile.

Nel 1973 la Fed per contrastare la spirale inflazionistica che aveva colpito l’economia reale in seguito alla crisi petrolifera dovette alzare i tassi di interesse e la conseguenza fu il crollo dei corsi delle Nifty Fifty che, come sempre accade in certe situazioni, scesero molto di più di quello che era il loro valore intrinseco.

Benchè oggi i mercati siano diversi con maggiori protezioni rispetto al passato, le similitudini con quel periodo sono innegabili.

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