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L’inflazione morde e il dollaro ringrazia!

Pubblicato 16.11.2021, 20:02
Aggiornato 16.11.2021, 20:00
© Investing.com

Di Geoffrey Smith 

Investing.com - L’impennata dell’inflazione che ha accompagnato la riapertura delle economie in tutto il mondo quest’anno si sta rivelando più alta e più duratura di quanto ci si aspettasse.

La buona notizia è che, molto probabilmente, i fattori che la stanno trainando si ridurranno nel corso del prossimo anno. La cattiva notizia è che probabilmente peggiorerà sul breve termine, mettendo i policymaker di tutto il mondo sotto quel tipo di pressione che porta facilmente a commettere degli errori.

Dovunque si guardi nel mondo al momento i dati non sono buoni: l’indice sui prezzi al consumo è al massimo di 30 anni negli USA e nella zona euro, che rappresentano circa il 40% del PIL mondiale. E sebbene ci siano segnali che alcuni dei problemi delle filiere alla base dell’impennata dei prezzi di quest’anno si stiano riducendo, stanno accelerando gli aumenti dei prezzi in altre categorie di prodotti.

È vero in particolare per i prezzi dei prodotti alimentari: l’indice sui prezzi degli alimenti FFPI dell’ONU è al massimo dal 2011, dopo essere salito di 40 punti negli ultimi 18 mesi. L’impennata dei prezzi del gas ha costretto alla chiusura gli impianti di fertilizzanti in Europa ed Asia, creando le condizioni per dei raccolti più scarsi e dei prezzi più alti anche l’anno prossimo.

I prezzi globali del petrolio, intanto, sono saliti ai massimi di oltre tre anni, pesando ulteriormente sui bilanci dei grossi importatori di energia come Cina, India e Turchia. La lira turca è crollata ai minimi storici contro il dollaro questo mese, quando la banca centrale del paese, in seguito ad interventi sempre più pesanti del Presidente Recep Tayyip Erdogan, ha rifiutato di alzare i tassi di interesse per portare l’inflazione sotto controllo.

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Tuttavia, ci sono segni che il peggio sia passato. I prezzi del greggio, in particolare, sembrano destinati ad una correzione tra la distruzione della domanda e la tarda reazione dei produttori USA a prezzi che ora incentivano una maggiore produzione. L’Agenzia Internazionale per l’Energia e l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio si aspettano che il mercato mondiale vada in surplus all’inizio del 2022.

Negli USA, intanto, l’aumento dell’11% della produzione di veicoli ad ottobre suggerisce che le case automobilistiche stanno finalmente cominciando a superare la carenza di semiconduttori che li aveva afflitti quest’estate, costringendo gli acquirenti a cercare di accaparrarsi a qualsiasi prezzo le scarse forniture.

In Europa, per quanto i falchi della Banca Centrale Europea cerchino di trovarle, ci sono poche prove che gli aumenti dei prezzi di quest’anno stiano comportando aumenti generalizzati dei compensi, un punto che la Presidente della BCE Christine Lagarde ha cercato ancora una volta di far capire al Parlamento Europeo lunedì.

In particolare, la Cina, dove l’indice sui prezzi alla produzione annuale ha segnato il 13,5% ad ottobre, sta entrando in un periodo di disinflazione, per via dell’indebolimento di un settore immobiliare che negli ultimi anni ha rappresentato oltre un quarto del PIL.

Si nota già nel prezzo di produzione di prodotti come l’acciaio: i future del minerale di ferro sono crollati di quasi il 60% dal picco di giugno al minimo dal giugno 2020. Anche i prezzi al consumo continuano a comportarsi bene, salendo solo dell’1,5% sull’anno terminato ad ottobre.

“Ci aspettiamo che i trend di prezzi deflazionari si intensifichino il prossimo anno, con la crescita che rallenterà per via delle conseguenze della crisi di Evergrande (HK:3333) sulla domanda immobiliare e sulle produzioni associate nell’edilizia abitativa”, ha scritto in una recente nota ai clienti l’economista di TS Lombard Lawrence Brainard.

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E, tra le pressioni a breve termine, è facile perdere di vista il fatto che altre pressioni disinflazionarie a lungo termine non sono sparite. Il progresso dell’automazione continua di giorno in giorno e lo shock inflazionario sui commerci sotto il governo Trump comincia a ridursi, con USA ed UE che rimuovono i dazi sui rispettivi prodotti. Una chiamata a quanto pare costruttiva questa settimana tra il Presidente Joe Biden ed il Presidente Xi Jinping suggerisce che anche i dazi con la Cina potrebbero (forse) essere eliminati.

Le cose potrebbero comunque andare male, ovviamente. Come sempre. Il rischio, come ha sottolineato nel weekend il Segretario al Tesoro USA Janet Yellen, è che il non riuscire a portare la pandemia sotto controllo non farà che prolungare l’attuale periodo di distorsioni estreme sui mercati per beni, servizi e lavoro che stanno trainando l’inflazione.

Al momento, questo rischio è di nuovo in aumento, con i casi che salgono nell’emisfero settentrionale, numeri record di vittime nell’Europa orientale e nuove chiusure di negozi e bar.

Ma a parità di condizioni non c’è ragione di pensare che l’inflazione globale stia andando fuori controllo. I dolori per i consumatori sono reali e i nervi delle banche centrali resteranno tesi per un po’, ma dire che l’inflazione sta per andare fuori controllo sembra fuori luogo.

 

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