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Tassi d’interesse: cosa decideranno Fed, BoE e BoJ secondo gli analisti

Pubblicato 19.09.2023, 10:34
© Reuters

È la settimana delle banche centrali. Dopo che lo scorso 14 settembre la Bce ha deciso di aumentare i tassi di interesse di ulteriori 25 punti base, i mercati attendono di capire cosa uscirà dalle imminenti riunioni di Federal Reserve, Bank of England e Bank of Japan.

I dati economici dei tre Paesi descrivono situazioni diverse. Mentre gli Stati Uniti cominciano a vedere il picco della stretta monetaria, la BoE potrebbe aspettare maggiori evidenze prima di decidere lo stop all’aumento dei tassi. C’è poi il caso più unico che raro della BoJ che, in controtendenza rispetto agli altri regolatori, continua a tenere il tasso di interesse a breve termine negativo dello 0,1%.

Per cercare di prevedere come si muoveranno i tassi d'interesse non solo questa settimana, ma anche nei mesi a venire, Investing.com ha raccolto le previsioni degli analisti sulle prossime mosse di politica monetarie delle banche centrali.

Erik Weisman, chief economist and portfolio manager, MFS Investment Management

La Fed non alzerà il tasso di interesse nella riunione del FOMC di settembre. Il mercato prevede una sospensione e questa riunione è sempre stata un momento di passaggio, visto che la Fed ha saltato il mese di giugno, adottando così una frequenza di riunioni a cadenza regolare.

Qualsiasi colpo di scena della riunione potrebbe scaturire da potenziali modifiche al Summary of Economic Projections, ai "punti" e al tono della dichiarazione e della conferenza stampa. Il mercato sarà alla ricerca di qualsiasi segnale che indichi se la Fed propenda per un altro rialzo entro la fine dell'anno o che sia necessaria una pausa più prolungata.

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In effetti, il mercato tende a stimare con una probabilità del 50% un altro rialzo quest'anno e gli operatori di mercato cercano quasi disperatamente una risposta a questa domanda. È improbabile che il presidente Powell manifesti un'inclinazione dovish, poiché vorrà mantenere la possibilità di alzare nuovamente i tassi senza sconvolgere il mercato.

Allo stesso tempo, però, Powell probabilmente porrà l'accento sulla fiducia nei dati che consentiranno di ottenere nuove informazioni sulle tendenze generali dei mercati del lavoro e dell'inflazione al consumo prima che la Fed prenda una decisione. Guardando al 2024, il mercato si concentrerà anche sull'eventuale modifica del numero di tagli previsti per tale anno, nonché su eventuali cambiamenti nelle proiezioni di crescita del PIL, del tasso di disoccupazione e dell'inflazione PCE di base. Queste informazioni possono aiutare a capire se la Fed si stia orientando verso una strategia di mantenimento dei tassi alti per un periodo di tempo lungo, piuttosto che verso un nuovo aumento del tasso di riferimento.

Geir Lode, head of Global equities di Federated Hermes

La tendenza alla disinflazione che abbiamo osservato rimane dominante, nonostante il recente modesto rialzo dei dati sull'inflazione statunitense, che ha superato le previsioni. Insieme alle ulteriori prove di indebolimento del mercato del lavoro, riteniamo che molto probabilmente la Fed non aumenterà i tassi nel corso del prossimo meeting e che le azioni statunitensi registreranno una ripresa nel breve termine.

Tuttavia, quando il livello più elevato dei tassi d'interesse comincerà a farsi sentire, prevediamo anche una pressione sugli utili societari statunitensi nel corso del prossimo anno e forse una lieve recessione. Gli investitori dovrebbero quindi essere pronti a posizionare i loro portafogli in modo più difensivo, man mano che il rally a breve termine si affievolisce.

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Economic Team di Payden & Rygel

Il mercato è ormai concorde nel ritenere che le banche centrali, che si tratti della BCE o della Fed, abbiano terminato il ciclo di rialzi dei tassi: una previsione basata anche sulla convinzione che l'inflazione si stia affievolendo.

Anche i futures sui Fed funds stanno prezzando una “normalizzazione” dei tassi da parte della Fed a circa 70 punti base nel corso del prossimo anno. Pur riconoscendo i progressi compiuti sul fronte dell'inflazione, però, il futuro appare ancora incerto e lascia spazio allo scetticismo.

Il rapporto sull'indice dei prezzi al consumo (CPI) statunitense di agosto, pubblicato questa settimana, ha mostrato un'accelerazione dell'inflazione core (che esclude le componenti alimentare ed energetica), salita allo 0,28% su base mensile dopo l'aumento di appena lo 0,16% di luglio. I servizi core, come ad esempio gli affitti, hanno registrato un aumento dello 0,37% in agosto, il più rapido da marzo.

Se la lettura del CPI core dovesse rimanere ai livelli di agosto, l’inflazione sarebbe ben al di sopra del 3% anche all’inizio della prossima estate, un livello troppo alto per i gusti della Fed. Uno scenario peggiore poi si aprirebbe qualora l’inflazione accelerasse, come accaduto nel primo trimestre del 2023. Non vogliamo spaventarvi, ma convincervi che sono molti e differenti gli scenari possibili.

Steven Bell, chief economist Emea di Columbia Threadneedle Investments

Prevediamo che gli Stati Uniti ridurranno i tassi di interesse all'inizio del 2024 e che Regno Unito ed Eurozona seguiranno subito dopo. Se così fosse, sarebbe una piacevole sorpresa per il mercato, che stima oggi un mantenimento dei tassi ai livelli attuali, o al di sopra, fino al 2024 inoltrato. Abbiamo, infatti, chiaro che la politica monetaria opera con ritardi lunghi e variabili.

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Le banche centrali cercano di guardare avanti, inasprendo la politica prima che l'inflazione decolli e allentandola prima che la recessione colpisca. Il problema è che collettivamente non sono riuscite a prevedere l'attuale impennata dell'inflazione. Hanno perso fiducia nei loro modelli di previsione e dichiarano ora di essere "dipendenti dai dati", senza fornire dettagli su cosa questo possa esattamente significare, al di là delle ripetute affermazioni che i tassi di interesse potrebbero aumentare ulteriormente e che probabilmente rimarranno alti per un periodo prolungato.

Tuttavia, la disoccupazione potrebbe cambiare l’attuale atteggiamento da falco, al momento vicina o inferiore ai minimi livelli storici in tutte e tre le economie. Con l'inflazione al di sopra dell'obiettivo, è facile per le banche centrali servirsi di toni più duri.

Personalmente, ritengo che la disoccupazione sia destinata ad aumentare in tutte e tre le economie. Gli Stati Uniti sono l'economia con i migliori fondamentali, ma anche qui la crescita dell'occupazione sta rallentando costantemente.

Nel Regno Unito, l'occupazione è in calo e la tendenza al rialzo della disoccupazione sembra ormai consolidata. Il problema che la BoE si trova ad affrontare è che l'inflazione salariale è ben al di sopra del livello coerente con il suo obiettivo del 2%. Anche il tasso di inflazione di fondo è troppo elevato, sebbene se la situazione potrebbe cambiare a fronte dei dati che verranno pubblicati in settimana. La BoE necessita di prove concrete del fatto che l'indebolimento del mercato del lavoro sta rallentando il ritmo dell'inflazione salariale, prima di poter anche solo iniziare a prendere in considerazione una riduzione dei tassi. Ma questo potrebbe avvenire prima di quanto molti pensino: i sondaggi indicano già un marcato rallentamento della pressione salariale.

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Infine, nell’Eurozona la disoccupazione è ai minimi storici e continua a scendere. La disoccupazione è solitamente un indicatore ritardato e i dati suggeriscono che l'eurozona sia già entrata in recessione. È dunque probabile che la disoccupazione aumenti presto e, sebbene la BCE debba convincersi che questa dinamica si traduca poi in una riduzione dell'inflazione di salari e prezzi prima di prendere in considerazione un taglio, ciò dovrebbe essere evidente entro la prossima primavera. Un aspetto incoraggiante è che la recente ondata di inflazione non ha aumentato di molto le aspettative di inflazione a lungo termine. C'è una buona probabilità che la riduzione dell'inflazione globale si traduca rapidamente in una riduzione delle retribuzioni, con la spirale salari/prezzi che si inverte. Una simile dinamica è già evidente negli Stati Uniti.

Pertanto, ci stiamo avviando verso l’ora del taglio dei tassi che, una volta giunto, dovrebbe essere particolarmente significativo e molto più consistente di quanto attualmente previsto. Questo dovrebbe portare sollievo a tutti i mercati finanziari. La battaglia contro l'inflazione è stata dura - molto più dura di quanto molti si aspettassero - ma la marea è cambiata e dovremmo vedere i frutti della vittoria tra non molto.

Per approfondire, leggi "Tipi di disoccupazione: frizionale, stagionale, giovanile".

Giacomo Calef, country head Italia NS Partners

Nel bel mezzo del più rapido rialzo dei tassi di interesse da oltre vent’anni, la banca centrale giapponese svetta per anticonformismo. L’istituto monetario nipponico resta infatti l’unico al mondo ad avere ancora tassi di interesse a breve termine negativi dello 0,1%. Il motivo è una cronica deflazione che affligge il Paese da più di un decennio e che l’ha ingabbiato in una crescita zoppicante, solo parzialmente curata dalle manovre di politica economica dell’ex primo ministro Shinzo Abe.

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Il periodo d’oro in cui gli investitori giapponesi sembravano comprarsi il mondo è finito, ma il Paese resta comunque la terza economia mondiale per PIL dopo Cina e Stati Uniti. Il neo-Governatore della BoJ, Kazuo Ueda, subentrato recentemente al posto di Haruhiko Kuroda, ha però deciso di non attuare stravolgimenti nella politica monetaria del suo predecessore. Le misure accomodanti attualmente in essere sono quindi mirate ad ottenere una crescita dei salari reali e dell’inflazione, ora al 3,3%, così che la crescita dei prezzi demand-pull possa finalmente risollevare le sorti economiche del Paese.

Certo, questo marcato anticonformismo rispetto ai corrispettivi Occidentali non è scevro da effetti potenzialmente negativi nel lungo termine. Lo yen continua infatti a perdere valore, in particolare nei confronti del dollaro americano, anche se per il momento questa debolezza aiuta ad incrementare le esportazioni dei manufatti nipponici e a creare quel fenomeno di importazione dell’inflazione attraverso i beni energetici.

Un’altra questione riguarda invece la controversa politica di controllo della curva dei rendimenti, o YCC (Yield Curve Control), che prevede massicce iniezioni di liquidità per mantenere i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine entro un determinato range. Nel corso del 2023 la banda è stata allargata permettendo ai rendimenti di avere maggiore libertà di movimento, ma mandando un falso segnale ai mercati sulle prospettive di una rapida normalizzazione della politica monetaria. Sul mercato azionario, il Nikkei ha invece archiviato, da inizio anno, una performance di oltre il 28% trainato soprattutto dai keiretsu, i profittevoli conglomerati del Paese, e schermando in parte le difficoltà intrinseche all’economia giapponese. Tuttavia, nel lungo termine, la BoJ si vedrà costretta a portare i tassi ad un livello leggermente positivo, sebbene il momento esatto resti difficile da prevedere e molto dipenda in gran parte dai futuri dati macroeconomici.

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James McCann, vicecapo economista di abrdn

La Fed probabilmente deciderà di mantenere i tassi invariati, dopo averli già incrementati in undici delle ultime dodici riunioni di politica monetaria. Sulla scia di questo rapido aggiustamento, la banca centrale americana è chiaramente intenzionata a procedere con maggiore cautela per meglio valutare la risposta dell’economia a questi rialzi dei tassi. Finora le notizie sono state positive, con un chiaro rallentamento dell'inflazione, un mercato del lavoro sano e una crescita positiva. In effetti, la Banca centrale USA sembra sempre più ottimista sulla possibilità di un soft landing.

Tuttavia, sebbene il presidente Powell possa riconoscere questi segnali incoraggianti, una parte del suo messaggio di questa settimana verterà sul fatto che il lavoro non è ancora terminato. Certo, c'è ancora molta strada da fare prima che la Fed possa essere sicura che l'inflazione stia tornando a livelli sostenibili, e questo non è ancora il momento di cantar vittoria. Infatti, i “dot plot” aggiornati, ossia le previsioni sui tassi d’interesse da parte dei singoli membri del Fomc, probabilmente indicheranno ancora l’intenzione, a livello mediano, di alzare di nuovo i tassi quest’anno. L'idea che una pausa, questo mese, preannunci la fine del ciclo di rialzi è controversa.

Il messaggio più sfumato del presidente Powell indicherà che le decisioni della Fed continuano a dipendere dai dati. I recenti sviluppi hanno lasciato alla banca centrale un margine di manovra per valutare l'andamento dell'economia, e le sue prossime mosse dipenderanno dall'andamento dell'inflazione e della crescita nei prossimi mesi. Ulteriori buone notizie sul fronte dell'inflazione potrebbero rendere superfluo un ultimo rialzo, ma sospettiamo che una serie di dati più solidi sull'inflazione, insieme a un'attività ancora solida, possa rendere necessario un ultimo rialzo nel corso dell'anno.

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Al netto dei vari aggiustamenti, il mercato osserverà i segnali di politica monetaria per il 2024 e il punto di vista della Fed sul livello dei tassi a lungo termine. È probabile che la Fed continui a segnalare un certo allentamento nel 2024, anche se potenzialmente inferiore ai 100 punti base di tagli previsti nella riunione di giugno, data la forza dell'attività economica di quest'anno. Un tale messaggio su tassi più alti più a lungo sarebbe in contrasto con i mercati che attualmente prezzano un allentamento ancora maggiore nel 2024.

È possibile che la visione della Fed sui tassi a più lungo termine - quelli che mantengono l'economia a livelli costanti di crescita e inflazione – si sia rafforzata. Tuttavia, data la notevole incertezza che regna intorno ai cosiddetti tassi neutrali, non siamo convinti che la Fed esprimerà una visione diversa in questo momento. In effetti, le sue opinioni sono rimaste notevolmente stabili dal 2019, riflettendo probabilmente questa incertezza. Un cambiamento al rialzo sarebbe un segnale da falco per il percorso dei tassi di interesse a breve e lungo termine.

Sean Shepley, senior economist Allianz (ETR:ALVG) Global Investors

Siamo alle soglie di quello che si potrebbe definire, facendo un’analogia con gli scacchi, il finale della partita della Fed. È ormai sempre più evidente che i tassi di riferimento sono prossimi al picco. Tuttavia, secondo noi il processo di inasprimento monetario non è ancora concluso.

Le premesse per la prossima riunione sono molto positive se guardiamo le ultime informazioni sull'economia statunitense: l’attività economica reale si è rafforzata, mentre le tensioni nel mercato del lavoro e l’inflazione core danno segnali di cedimento.

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Sebbene tale quadro possa indurre a pensare che il finale sia quasi terminato e che la vittoria sia vicina, noi crediamo che quel momento non sia ancora arrivato. Spesso, la flessione dell’inflazione dopo un picco è stata interrotta da episodi di risalita, come quello minacciato dal recente rincaro del petrolio. Riteniamo pertanto probabile che la Fed manterrà i tassi di interesse invariati, che le sue previsioni continueranno a segnalare un ulteriore rialzo prima di fine anno e potenzialmente a ridurre le attese sui tagli dei tassi nel 2024.

Oltre alla già segnalata sessione della Federal Reserve, la prossima settimana si riuniranno anche la Bank of England e la Banca del Giappone. Prevediamo che la Bank of England alzerà i tassi di 25 punti base (pb) e che la Banca del Giappone confermi la politica in essere.

I dati più attesi, vale a dire i PMI flash relativi a Stati Uniti, area euro, Giappone e Regno Unito, saranno pubblicati alla fine della settimana. In alcuni Paesi si rilevano i primi segnali di stabilizzazione del settore manifatturiero, un processo che darebbe un contributo sostanziale al tanto auspicato soft landing. Per contro, i servizi perdono slancio nell’area euro e nel Regno Unito al punto che un ulteriore calo dei PMI alimenterebbe il rischio di contrazione dell’attività economica. Negli USA, il sondaggio del mese scorso nel settore dei servizi ha dato esiti molto contrastanti, i dati saranno quindi importanti per indirizzare le attese di crescita.

La fase finale è iniziata, ma non crediamo che la partita si concluderà la prossima settimana. La maggior parte dei mercati forse deve aspettare ancora un po’ per una buona notizia che ne determini la direzione.

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Mark Dowding, fixed income cio, RBC BlueBay AM

I rendimenti statunitensi non sono cambiati di molto nell’ultima settimana, sulla scia del rapporto CPI statunitense di questa settimana. Ciononostante, l’inflazione core, pari al 4,3%, non sta scendendo così rapidamente come alcuni speravano. La prospettiva di un ulteriore inasprimento della politica monetaria da parte della Fed resta in gioco nel quarto trimestre. Tuttavia, ci aspettiamo una pausa nella prossima riunione di settembre, poiché la traiettoria dei rialzi diventa più ridotta e la politica monetaria si sposta ulteriormente in territorio restrittivo.

Per quanto riguarda le prospettive europee nei prossimi mesi, le proiezioni di inflazione leggermente più elevate, in un momento in cui le previsioni di crescita vengono ridimensionate, dipingono un quadro piuttosto cupo. I rischi di stagflazione sono presenti in tutta la regione, anche se in un contesto europeo più ampio sono probabilmente più elevati nel Regno Unito.

Il Pil del Regno Unito si è contratto a luglio, in parte a causa del cattivo tempo estivo. Tuttavia, la debolezza dei consumi non è stata solo una storia di minori vendite di gelati e, con il calo dei prezzi delle case, vediamo che i consumatori stanno sentendo il peso della crisi. Nel frattempo, i dati che mostrano un’accelerazione della crescita dei salari all’8,3% devono preoccupare la BoE, anche se l’aumento delle buste paga è moderato.

In definitiva, pensiamo che questa è la forma che potrebbero assumere le cose nei prossimi mesi e che, se la crescita deluderà e l’inflazione si manterrà intorno al 5%, la Bank of England potrà procedere a un ulteriore rialzo per il momento, ma con il rischio di dover attuare una nuova stretta se l’inflazione dovesse riaccelerare ancora una volta a causa dei “second round effects”, ovvero un’incorporazione dell’aumento dei prezzi all’interno delle negoziazioni salariali.

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In Giappone, i commenti del Governatore Ueda sembra abbiano aperto a un aggiustamento anticipato della politica monetaria, sulla scia dell’aumento dell’inflazione e della crescente pressione sullo yen. Da quando si è insediato in aprile, Ueda ha mantenuto un atteggiamento dovish ed è apparso riluttante a sostenere un cambiamento di politica monetaria.

Tuttavia, l’inflazione core si attesta al 4% e l’aumento dei prezzi sembra estendersi a tutta l’economia. Le prime stime per il ciclo salariale del prossimo anno si aggirano intorno al 5%, poiché i lavoratori cercheranno di recuperare il potere d’acquisto perduto, in un contesto di mercato del lavoro molto rigido.

Nel frattempo, mentre i tassi di interesse reali diventano più negativi in un momento in cui le altre banche centrali hanno aumentato i tassi, la BoJ è ora responsabile dell’indebolimento dello yen, lasciando così relativamente vani gli sforzi da parte del Ministero delle Finanze per rafforzare la valuta.

Poiché questa dinamica persiste, ci aspettiamo che la pressione su Ueda e i suoi colleghi continui a crescere. Non crediamo ci sarà alcun cambiamento di politica monetaria alla riunione di settembre.

Tuttavia, a ottobre, riteniamo che le proiezioni sull’inflazione saranno riviste al rialzo e che una dichiarazione sul raggiungimento di un’inflazione sostenibile al 2% potrebbe essere il pretesto per un’ulteriore mossa di politica monetaria. Riteniamo che il controllo della curva dei rendimenti potrà essere eliminato o reso superfluo in quel momento.

Nel frattempo, prevediamo che il primo rialzo dei tassi della Bank of Japan al di sopra dello 0% avverrà prima della fine di quest’anno. In questo contesto, continuiamo a credere che i rendimenti dei JGB a più lunga scadenza dovranno continuare a salire, con un obiettivo compreso tra l’1,0 e l’1,2% entro la fine del 2023.

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Ultimi commenti

Scusate sulla Boj con tutto bla bla bla bla sui tassi interesse sempre in negativo Basterebbe una parola il giappone è in default
👍
c'è qualcuno che già parla di tagli, ma non vi vergognate, e dall'anno  scorso che prevedevate per quest'anno tagli, ora li spostate al prossimo anno,
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