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Tassi Fed ancora fermi prima del taglio di settembre, i commenti degli analisti

Pubblicato 31.07.2024, 08:41
© Reuters.

Investing.com – Oggi è il giorno della Fed. I mercati non si aspettano ancora nessun cambio nel livello dei tassi d’interesse, tuttavia, sembrano aumentare le possibilità di assistere a un primo taglio al costo del denaro nella riunione di settembre. Per questo, l’attenzione degli esperti si concentrerà sulle parole con cui il presidente, Jerome Powell, farà il punto della situazione in tema di politica monetaria.

E allora, per cercare di capire se le previsioni sono giustificate, Investing.com ha raccolto i commenti degli analisti sul meeting della Banca centrale americana del 31 luglio.

Ed Al-Hussainy, Senior Interest Rate and Currency Analyst di Columbia Threadneedle Investments

La Fed ha ora sia il motivo che l'opportunità per passare a un orientamento di politica monetaria meno restrittivo a partire da settembre. Il cambiamento di posizione è motivato dalla maggiore fiducia nel fatto che la strategia adottata dalla Fed dal 2021 ad oggi abbia effettivamente ridotto i rischi al rialzo per l'inflazione. Inoltre, i rischi sia per l'inflazione che per l'occupazione iniziano ora a spostarsi verso il basso, nonostante la stabilità della crescita economica sottostante e la limitata resistenza delle condizioni finanziarie al di fuori dei settori immobiliare e manifatturiero.

Erik Weisman, Chief Economist, MFS Investment Management

Nonostante un piccolo ma deciso gruppo di sostenitori chieda alla Fed di iniziare la sua campagna di allentamento a luglio, è probabile che la Fed consideri la prossima riunione come un punto di partenza per il suo primo taglio a settembre. Sebbene il mercato del lavoro mostri chiari segni di normalizzazione e l'ultima serie di dati sull'inflazione al consumo sia stata relativamente positiva, la banca centrale è stata più volte sostenuta dai dati macro negli ultimi 18 mesi, salvo poi scoprire che l'economia continuava a correre troppo. Pertanto, la Fed probabilmente riterrà che sia prudente osservare i dati delle sei settimane successive per convalidare chiaramente l'opinione che l'allentamento della politica sia giustificato. Detto questo, la Fed è diventata molto più dipendente dai dati, evidenziando entrambi i lati del suo duplice mandato. Un indebolimento sostanziale del mercato del lavoro e/o un'ulteriore normalizzazione dell'inflazione al consumo forniranno probabilmente alla banca centrale la fiducia necessaria per iniziare a tagliare i tassi a settembre. Ma simmetricamente, se il mercato del lavoro si rafforzerà o l'inflazione al consumo rimbalzerà tra il 31 luglio e il 18 settembre, la Fed rimanderà ancora una volta la riduzione dei tassi. Pertanto, il presidente Powell non annuncerà un taglio a settembre, ma spiegherà piuttosto cosa dovremmo verificare per ottenere tale taglio.

Tuttavia, ancora più importante di ciò che la Fed farà nel prossimo mese e mezzo, il mercato cercherà di valutare il ritmo successivo dei tagli dei tassi e l'eventuale zona di atterraggio. Il famoso atterraggio morbido del 1995 fu ottenuto con un taglio dei tassi di appena 75 punti base e alcuni sostengono che nei prossimi 6 mesi si ripeterà quell'episodio. Tuttavia, il mercato prevede che la Fed taglierà 175-200 punti base entro il primo trimestre del 2026. Una Fed che abbassa i tassi di soli 75 punti base vorrebbe dire che l'economia e i mercati sono relativamente meno sensibili ai tassi di interesse rispetto al recente passato e che gli Stati Uniti possono navigare con successo in un tasso di riferimento del 4,50% a tempo indeterminato. Il mercato, invece, sostiene che un tasso di riferimento più vicino al 3,50% sarebbe più appropriato per raggiungere l’ambìto atterraggio morbido. La differenza tra questi due scenari è piuttosto importante e potrebbe avere un impatto significativo sulla curva dei rendimenti dei Treasury, sugli spread creditizi e sulle valutazioni azionarie. Stay tuned.

Gilles Moëc, AXA Group Chief Economist and Head of AXA IM Research


Bill Dudley (ex vicepresidente del FOMC della Fed) ha invitato la Fed a effettuare un taglio dei tassi già questa settimana, visti i segnali relativi all’economia statunitense che si stanno accumulando, con incrinature che si manifestano in particolare nella capacità di spesa delle famiglie nella parte inferiore della scala dei redditi.

Concordiamo sul fatto che gli ultimi dati del PCE (Personal Consumption Expenditures) dovrebbero spalancare le porte ad un vero e proprio cambiamento della posizione di policy da parte della Fed – non abbiamo mai creduto all’entusiasmo del mercato, che fino allo scorso inverno vedeva mezza dozzina di tagli nel 2024, ma al contempo abbiamo respinto l'ipotesi “nessun taglio quest’anno". I dati del PIL del secondo trimestre, tuttavia, sono stati probabilmente “troppo decenti” per portare il FOMC in modalità di emergenza. In ogni caso, Jay Powell può facilmente respingere la potenziale critica di aver fatto una “mossa tardiva” comunicando chiaramente che arriverà un taglio a settembre, e che sarà l’inizio di un processo di “rimozione delle restrizioni”.

Continuiamo a concentrarci maggiormente sulla difficoltà per la Fed di continuare a tagliare nel 2025 se Donald J. Trump venisse eletto. La corsa presidenziale negli Stati Uniti si è fatta più serrata e, sebbene non ci aspettiamo che le questioni economiche siano rilevanti nei dibattiti che si terranno nei prossimi tre mesi, il risultato delle elezioni avrà un’enorme importanza nella sfera economica globale.

In questo contesto, esaminiamo il comunicato del Plenum del Partito Comunista Cinese, che a nostro avviso ha confermato l’attenzione di Pechino sul lato dell’offerta dell’economia. Continuiamo a pensare che la domanda interna rimanga il punto debole della Cina, e ci colpisce il fatto che sempre più Paesi – anche nel Sud globale – stiano adottando misure contro le importazioni di prodotti cinesi.

Questa settimana si terranno anche le riunioni della Bank of England e della Bank of Japan, in condizioni macro poco chiare a livello nazionale. A conti fatti, pensiamo che la BoE taglierà di 25 punti base, ma la scelta sarà molto combattuta, vista la probabile divisione interna del MPC. La BoJ deve invece normalizzare la sua posizione più velocemente per sostenere la valuta, ma l’economia continua ad essere mediocre. Riteniamo che combinare una massiccia riduzione del volume di acquisti di obbligazioni – direttamente a 3.000 miliardi al mese – con un rialzo dei tassi sarebbe troppo scoraggiante.

Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel




Considerando che l’inflazione core è risultata in linea con il target del 2% per sole due letture mensili (maggio e giugno) e che l’economia Usa ha chiuso il secondo trimestre con una crescita del +2,8% su base annua, l’ipotesi secondo cui, per scongiurare l’ingresso degli Stati Uniti in recessione, la Federal Reserve debba necessariamente procedere a un taglio dei tassi di riferimento nel corso della riunione di domani ci sembra alquanto improbabile.

Nel mese di giugno, l’Indice dei Prezzi delle Spese per Consumi Personali core ha messo a segno un aumento del +0,2% e il suo tasso di variazione medio sui tre mesi è ora del +0,19%, in linea con l’obiettivo del 2% della Fed. Se questo trend dovesse continuare, entro dicembre l’inflazione core dovrebbe essere allineata alle previsioni della Fed al 2,8% e dovrebbe scendere al 2,3% entro la metà del 2025. Come recentemente evidenziato dal governatore Waller, se l’inflazione continuasse a calare di questo passo, la Fed dovrebbe essere in grado di allentare la stretta monetaria in settembre e nel corso della riunione di domani ci aspettiamo qualche indicazione in tal senso. Non si può averne la certezza, però: se il percorso dell’inflazione si rivelasse meno lineare, le previsioni di un taglio dei tassi nel prossimo futuro sarebbero più incerte.

Il recente aumento del tasso di disoccupazione dovrebbe essere interpretato dai policymaker come sintomo di un miglioramento dell’equilibrio del mercato del lavoro Usa e non come il segnale di un’imminente recessione, come invece sostenuto da alcuni investitori. Il mercato del lavoro dovrebbe ora trovarsi in uno “sweet spot”, con l’offerta in recupero e il contenimento della domanda rispetto ai massimi del ciclo. A meno di un’(improbabile) impennata del tasso di disoccupazione, la Fed si dovrebbe concentrare sull’inflazione come obiettivo primario. In prospettiva, se l’economia continuerà a crescere e la disoccupazione resterà sotto controllo, è improbabile che la Fed intraprenda una decisa svolta accomodante, mentre dovrebbe limitarsi ad “aggiustare” il tasso sui Fed Funds. Per questo riteniamo che i sette tagli dei tassi prezzati dal mercato da qui a fine 2025 siano troppi.

In conclusione, se l’inflazione sarà in grado di tendere in modo sostenibile verso il target del 2%, sarà probabile che la Fed proceda a un taglio dei tassi in settembre, anche se, considerata la rigidità del mercato del lavoro e la crescita economica superiore al trend, l’ipotesi più verosimile ci sembra quella di un “fine-tuning” del tasso sui Fed Funds, in stile anni ’90.

Approfondisci cos'è l'inflazione. Scopri anche gli eventi correlati: cos'è la deflazione, cos'è la stagflazione, cos'è la recessione.

Leggi anche: Bce, Lagarde: “Oggi decisione unanime, taglio a settembre è questione aperta”

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