Investing.com – Nonostante le banche centrali non vogliano sentir parlare di picco, la frenata dell’economia sta convincendo i mercati che difficilmente i tassi d’interesse possano salire ancora nel 2023. Lo dimostra l’andamento dei rendimenti decennali che la settimana scorsa si sono notevolmente ridotti negli Stati Uniti Stati Uniti 10 anni.
L’inversione di rotta, secondo Gilles Moëc, chief economist di AXA Investment Managers, è dovuta a una combinazione quasi perfetta. “Il messaggio di Jay Powell è stato che, sebbene la Fed abbia ancora un orientamento restrittivo, l’asticella per un altro rialzo si sta alzando. Il Tesoro ha annunciato una diversa distribuzione delle scadenze delle sue emissioni nei prossimi tre mesi verso la parte anteriore della curva. Infine, i dati sulle buste paga di ottobre sono risultati poco incoraggianti, con una creazione di posti di lavoro inferiore al trend, un lieve aumento del tasso di disoccupazione e, cosa fondamentale, un’ulteriore decelerazione dei salari”, osserva il gestore.
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Sebbene il concatenarsi di questi eventi abbia placato la recente frenesia sul mercato obbligazionario, per Moëc il ritracciamento dei rendimenti ha dei limiti. “Dal momento che la Fed ha riconosciuto esplicitamente l’impatto dell’inasprimento delle condizioni finanziarie guidato dal mercato nella calibrazione della propria posizione, qualora i tassi di mercato scendessero troppo o troppo velocemente, aumenterebbe la probabilità che la Fed sia costretta a un nuovo rialzo. Naturalmente, ciò non sarebbe necessario se l’economia continuasse a indebolirsi – e il quarto trimestre potrebbe risultare un trimestre mediocre”. Tuttavia, l’esperto sottolinea come, al di là dei fattori ciclici, occorra considerare le forze fondamentali.
“Il Tesoro può momentaneamente allentare la pressione sui rendimenti a lungo termine emettendo più T-bill e bond a due anni, ma resta il fatto che il volume complessivo del debito federale continuerà ad aumentare, senza una chiara prospettiva di un successivo consolidamento fiscale. Anche il comportamento degli investitori giapponesi deve essere monitorato, alla luce dell’ennesima modifica del controllo della curva dei rendimenti da parte della Bank of Japan”.
Infine, anche l’Eurozona dovrebbe aver raggiunto l’apice della stretta monetaria. “I dati di ottobre hanno confermato che la disinflazione è in atto, al di là degli effetti meccanici di base su energia e alimentari. La decelerazione dei prezzi dei manufatti e dei servizi – anche se più timida per questi ultimi – è rassicurante. Il costo di questa disinflazione è purtroppo sempre più evidente: il mercato del lavoro si sta ammorbidendo, anche se il deterioramento rimane per ora contenuto”. Tuttavia, anche se questi dati giocano in favore delle colombe, l’economia può riservare sempre sorprese, cambiando le carte in tavola. Del resto, come dimostra l’ultimo discorso di Isabel Schnabel, “I falchi della Bce non si sono arresi”, chiosa Moëc.