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DOSSIER / La battaglia di Renzi per ridurre la spesa pubblica

Pubblicato 14.07.2014, 12:37
DOSSIER / La battaglia di Renzi per ridurre la spesa pubblica

ROMA (Reuters) - Lo scorso ottobre Carlo Cottarelli ha lasciato il Fondo monetario internazionale per aiutare il governo italiano in una difficile impresa: tagliare la spesa pubblica di 32 miliardi tra 2014 e 2016. Nove mesi dopo, il commissario per la spending review ha fatto pochi passi avanti.

Finora, infatti, il governo di Matteo Renzi ha ignorato le proposte più impopolari sintetizzate da Cottarelli in un piano di 72 pagine, mai pubblicato ufficialmente da Palazzo Chigi ma che Reuters ha avuto modo di leggere.

Il governo ha ridotto a 3 miliardi da 4,5 i risparmi del 2014. L'obiettivo del 2015 non è chiaro: il Documento di economia e finanza (Def) li fissa in 17 miliardi al massimo; il 18 aprile il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha parlato di 14 miliardi.

La spesa pubblica italiana assorbe il 51% del Pil ed è l'ottava più alta d'Europa. In sé questo non è un problema. Paesi come Francia e Svezia spendono di più ma riescono ad avere tassi di crescita più sostenuti.

L'Italia spende spesso male: assunzioni clientelari, carenze organizzative e forniture concordate a prezzi fuori mercato peggiorano la qualità dei servizi pubblici.

Inoltre, la composizione della spesa è anomala. Nonostante la riforma Fornero, che ha alzato i requisiti anagrafici e contributivi per ritirarsi dal lavoro, l'Italia eroga in pensioni somme superiori al 15% del Pil, più di qualsiasi Paese avanzato. Al contrario, la quota del bilancio che va a finanziare servizi fondamentali come l'istruzione o la sanità è inferiore a quella di molti Paesi Ocse.

Per questo Cottarelli vorrebbe tagliare la spesa previdenziale di oltre 3 miliardi al 2016, principalmente attraverso un prelievo sugli assegni più elevati. Ma "Renzi ha detto di no", riferiscono fonti governative.

Il problema dell'esecutivo è che qualsiasi ipotesi di rimettere mano al sistema previdenziale erode consenso politico in un Paese come l'Italia, in Europa secondo per longevità solo alla Germania.

TAGLI MIRATI E TAGLI LINEARI

Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera ed ex ministro della Funzione pubblica, riconosce a Cottarelli di aver fatto "proposte di buon senso". Il problema tuttavia "è politico, non tecnico. Tagliare gli 800 miliardi di spesa pubblica significa cambiare gli assetti di potere e di consenso su cui si regge il Paese", aggiunge.

Il compito di Cottarelli è setacciare tutte le voci del bilancio individuando, ad esempio, gli ospedali che hanno posti-letto in eccesso o le città che spendono troppo per l'illuminazione stradale. Tagli mirati, quindi.

Finora l'Italia ha seguito la strada dei tagli lineari, che colpiscono in pari misura gli sprechi come i servizi pubblici essenziali.

Nel capitolo del piano dedicato alla previdenza, Cottarelli mette nel mirino le pensioni di invalidità, una voce di spesa cresciuta del 50% tra 1998 e 2012.

In Calabria, Campania, Puglia e Sicilia il numero di invalidi assistiti dallo Stato è praticamente il doppio che in Veneto, Emilia Romagna e Lombardia.

Le cronache sono piene di falsi invalidi scoperti dalla Guardia di finanza. A marzo una donna di Bergamo è stata condannata per "guida in stato di ebbrezza". In sei anni ha riscosso dall'Inps oltre 60.000 euro: per la Asl era totalmente cieca.

Un altro fronte sono le forze dell'ordine. Lo Stato spende ogni anno 20 miliardi per finanziare Polizia, Carabinieri, Polizia penitenziaria, Guardia di finanza (Gdf) e Guardia forestale. Per i dati Eurostat in Italia ci sono 466 agenti ogni 100.000 abitanti. In Germania sono 298 e in Francia 312.

I margini per risparmiare sembrano esserci. Eppure, è bastato che Cottarelli proponesse di sopprimere i Baschi verdi, gli anti-sommossa della Gdf, per scatenare reazioni sindacati.

Renzi dovrebbe firmare entro luglio il decreto sui primi 488 milioni di tagli mirati. Fonti governative riferiscono che il governo ha deciso di tagliare le dotazioni dei ministeri, rendendo indisponibili somme già accantonate a garanzia dei saldi. Di fatto sono altri tagli lineari.

I DECRETI ATTUATIVI

Il prossimo banco di prova è la legge sul bonus di 80 euro al mese per i redditi medi e bassi. Fra le coperture ci sono 3 miliardi di minori spese. I tagli da mirati diventeranno lineari senza i decreti attuativi.

E qui si affronta un serio problema dell'Italia. Molte leggi sono parzialmente efficaci proprio perché mancano i decreti attuativi. Al 18 giugno, secondo Palazzo Chigi, mancano 679 decreti su 1.303 per rendere pienamente operative le leggi dei governi Monti e Letta. Renzi, che è in carica da fine febbraio, ha già accumulato 133 decreti.

Le difficoltà nel processo di attuazione stanno rallentando anche i rimborsi alle imprese fornitrici della pubblica amministrazione. A fine marzo, dice l'ultimo dato ufficiale del Tesoro, i creditori avevano ricevuto 23,5 miliardi, meno dei 27 miliardi che l'esecutivo Letta aveva promesso per fine 2013.

Saldando le fatture in media dopo 170 giorni, lo Stato aumenta la crisi di liquidità delle imprese, già colpite dalla stretta creditizia.

La Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione accusando l'Italia di violare la direttiva che limita a 30-60 giorni i tempi di pagamento.

B. Braun Milano, controllata del gruppo tedesco Braun specializzato in forniture ospedaliere, ha registrato lo scorso anno 175 milioni e vanta crediti per 70 milioni. "È molto in termini di perdita di competitività", dice Luigi Boggio, managing director della società.

Renzi ha promesso di pagare alle imprese 60 miliardi entro ottobre. L'operazione è difficile perché nessuno conosce l'esatto ammontare dei debiti, neppure il Tesoro. Inoltre, i rimborsi fanno aumentare il debito pubblico, con il rischio che l'Italia violi i vincoli europei sanciti dal Fiscal compact.

Renzi dà la colpa alla "logica kafkiana" dell'Europa e chiede maggiore flessibilità sul bilancio: "Il percorso per cui ti chiedo una cosa che ti impedisco di fare assomiglia a un film dell'orrore", ha detto il capo del governo il 24 giugno.

A monte di tutto c'è un problema: numerose amministrazioni evitano di riconoscere i debiti perché hanno commesso irregolarità stipulando i contratti di fornitura.

"Stiamo scavando su un terreno melmoso. Ci sono aziende sanitarie locali che non hanno una contabilità scritta, assessori che hanno negoziato forniture senza avere le delibere consiliari", spiega una fonte governativa.

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