La politica del governo Monti nei trasporti non ha assunto ancora una fisionomia definita. L'aumento delle accise sulla benzina e sul gasolio appare un intervento di sicuro impatto inflazionistico. E non certo equo. Si dà molta importanza alle liberalizzazioni, come fattore di crescita, di efficienza e di risparmio di risorse pubbliche. Bene la scelta di affidare la regolazione del settore a un'Autorità indipendente. Ma mancano indicazioni su questioni cruciali. Dubbi anche sull'opportunità di affidare le competenze sui trasporti a un'Autorità già in attività.
La politica del governo Monti nel settore dei trasporti non ha assunto ancora una fisionomia completamente definita. È comprensibile. Il clima di emergenza nazionale in cui finora l’esecutivo si è mosso non è certo il migliore per delineare un approccio organico a un settore molto articolato e complesso. Tuttavia vale la pena esaminare le principali luci e ombre emerse fin qui, lasciando stare la questione dei taxi, sulla quale si rinvia all’articolo di Michele Polo.
BENZINA
L’aumento delle accise sulla benzina e sul gasolio appare un intervento di sicuro impatto inflazionistico (colpisce tutti i prezzi), e non è certo equo. Una delle motivazioni per un simile provvedimento, infatti, è quella di trovare risorse per i sussidi ai trasporti locali. Ma non si può ignorare che in Italia vigono le più basse tariffe europee per questi servizi, connesse a costi di produzione elevati (comparabili a quelli tedeschi), e che la maggioranza di coloro che si spostano in auto per lavoro lo fa perché il trasporto collettivo tra zone peri-urbane è latitante (né potrebbe essere diversamente) e non certo perché questi forzati dell’automobile siano più ricchi di chi vive e lavora nelle grandi città e beneficia dei servizi di trasporto locale più sussidiati. Inoltre, l’aumento della fiscalità sui carburanti ricorda molto i provvedimenti “disperati” dei governi balneari della Prima Repubblica.
LIBERALIZZAZIONI
Il fatto di dedicare un articolo (il 37) del decreto “salva-Italia” alla liberalizzazione del settore dei trasporti è, di per sé, un segnale dell’importanza che il governo annette al tema sia per la crescita economica sia (auspicabilmente) per il contenimento strutturale della spesa pubblica o, quantomeno, per un significativo miglioramento della sua efficienza (riduzione del rapporto costi/prestazioni). A rinforzare quanto previsto all’articolo 37, c’è il disposto dell’articolo 35: “L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato”.
Sorprende, invece, che quando l’articolo 37 passa a declinare i criteri generali cui il governo dovrà attenersi nell’emanare “disposizioni volte a realizzare una compiuta liberalizzazione e un’efficiente regolazione nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture” si parli solo della costituzione dell’Autorità indipendente per i trasporti e dei suoi compiti. Nessuna indicazione traspare su questioni cruciali come la separazione proprietaria tra gestore dell’infrastruttura ferroviaria e gestori dei servizi o sui servizi ferroviari regionali o sul sistema di allocazione degli slot aeroportuali o sulla metodologia di regolazione delle tariffe di accesso alle infrastrutture, salvo dire che le condizioni di accesso dovranno essere eque e non discriminatorie.
Non è ragionevole aspettarsi che sia la costituenda authority a disegnare le regole del gioco, la combinazione desiderata di concorrenza e regolazione. Questo è un compito che spetta al governo e al parlamento.
Molto perplessi lascia poi l’esclusione del settore autostradale da quelli di cui la nuova authority dovrà occuparsi. Pochi possono credere che le concessioni (magari per trenta o quaranta anni) siano un contratto completo, che non richieda interventi regolatori in corso di durata per limitare gli extra-profitti che si possono creare da una parte o compensare le perdite da un’altra. Inoltre, le tariffe autostradali hanno una doppia natura: da un lato devono assicurare la remunerazione del capitale investito dai concessionari, dall’altro devono consentire un efficiente uso della capacità e, quindi, una efficiente ripartizione del traffico.
Il secondo obiettivo è totalmente estraneo al sistema tariffario vigente oggi in Italia. Infine, con l’esclusione delle autostrade dalla regolazione, gli altri concessionari (aeroporti, porti, ferrovie, trasporti locali) avrebbero motivi per aumentare le loro resistenze al ruolo della nuova Autorità, che, non dimentichiamolo, è quello di difendere utenti e contribuenti rispettivamente da rendite improprie o inefficienze dei monopoli, naturali o legali che siano.
L’AUTORITÀ
Il fatto che governo e parlamento siano finalmente d’accordo sulla necessità di affidare la regolazione del settore dei trasporti a un organismo indipendente è certamente positivo. La novità del testo governativo è costituita soprattutto dall’idea che le competenze di un’autorità indipendente per i trasporti dovrebbero essere assunte da una autorità già esistente che svolge compiti assimilabili. È possibile ritenere che una simile scelta sia motivata dal desiderio di minimizzare i costi.
Ragione rispettabile, ma non si vorrebbe che per risparmiare qualcosa si perdesse l’occasione di far le cose per bene. Quello dei trasporti è un settore complesso e articolato: non è facile che le competenze per la sua regolazione pro-competitiva (come prevede il dettato della legge) siano presenti presso una delle autorità esistenti, sia a livello di collegio che a livello di personale. Il più noto precedente europeo di un’autorità multitask è quello della tedesca Bundesnetzagentur, che si occupa della regolazione dei servizi a rete. Le sue competenze in materia di trasporti sono limitate all’accesso alla rete ferroviaria e, tuttavia, quando le sono state attribuite, è stata istituita anche una nuova “camera” all’interno dell’autorità.
Qualsiasi sia l’autorità prescelta dal legislatore italiano per assumere la supervisione su tutti i trasporti, sarà bene prevedere un allargamento (e non un restringimento) del collegio con competenze adeguate e la creazione di almeno una nuova divisione con personale specializzato. Per i costi aggiuntivi, è possibile ricorrere al “contributo versato dai gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati in misura non superiore all’1 per mille dei ricavi derivanti dalle attività svolte”, come prevedeva la proposta di legge n. 1057 di iniziativa parlamentare (articolo 1, comma 9).
Incauta appare poi la garanzia prevista dal testo governativo che le competenze in materia di sicurezza dei trasporti siano disgiunte da quelle in materia di regolazione economica. Infatti, la sicurezza ha impatti sul modello di esercizio delle infrastrutture e, perciò, sui costi e può avere significativi impatti concorrenziali. Non a caso in Gran Bretagna l’autorità di regolazione delle ferrovie, Office of Rail Regulation, ha ricevuto da qualche anno sia le competenze in materia di regolazione economica che quelle in materia di sicurezza, con un significativo miglioramento della performance in entrambi i campi.
Nel tempo previsto per l’emanazione dei decreti delegati si dovrà trovare il modo per correggere in parte il tiro e rendere più coerente il disegno istituzionale.
Autore: Andrea Boitani - LaVoce.info