Investing.com – Secondo Andrew Burton, responsabile della gestione di Banca RBS, i Fondi Pensione e le Compagnie di Assicurazione Europei hanno dovuto affrontare anni di ridotti o nulli rendimenti a causa dei tassi tenuti artificiosamente bassi sui titoli di debito a lunga scadenza e gli investitori dovrebbero prendere sin d’ora in esame strategie alternative che possano mitigare l’effetto di questi bassi rendimenti, sulle loro pensioni future.
Grazie all’immissione di oltre tre trilioni di euro di quantitative easing e le nuove emissioni corporate europee, negli ultimi 3 anni il rendimento sulla sottoscrizione del debito è sceso progressivamente dal 3.9% del primo trimestre 2011, al 2.8% del primo trimestre 2012 e, infine, all’1.7% del primo trimestre 2013, e gli investitori hanno ora più di un motivo per essere nervosi.
I rendimenti dei Bund tedeschi sono scesi nel contempo dal 2.0/2.6% di due/tre anni fa all’attuale 0.3% e la curva dei rendimenti si è mantenuta costantemente ribassista negli ultimi 5 anni.
Di fronte a quale scelta si troveranno gli investitori nel vicino futuro, si domanda Burton: prepararsi a consolidare una perdita sui loro capitali a causa dei rendimenti insufficienti a coprire financo la svalutazione, oppure tentare di preservare il capitale anche a costo di bassi o nulli rendimenti e consolidare una perdita netta sul capitale volendosi disfare di quegli investimenti?
In entrambi i casi, secondo Burton, si tratterà di perdere, e questo non potrà che ingenerare ulteriore nervosismo e sfiducia fra gli investitori che, se al momento privilegiano i più sicuri titoli del debito pubblico sovrano, torneranno, probabilmente presto in cerca di maggiori rendimenti.
Nella fase attuale la tendenza sembra essersi già avviata e sia i fondi pensione che le compagnie assicuratrici raccolgono ora i fondi degli investitori che monitorano con costanza i loro rendimenti pur considerando ancora troppo rischioso investire in titoli azionari che promettono alti rendimenti ma sono soggetti ad un alto livello di rischio.
Non appena le banche centrali daranno segnali di interruzione dei quantitative easing che hanno fino ad ora inondato le economie di liquidità a basso prezzo, i rendimenti dei bond riprenderanno a salire e gli investitori dovranno essere pronti a cogliere i segnali di questa inversione di politica monetaria per evitare di accumulare pesanti perdite.
Prendendo ad esempio un investitore che acquista oggi un bond a 10 anni e ne riceve un rendimento del 2%, che è inferiore al tasso di inflazione; supponendo che nel giro di quattro anni lo stesso bond ( che avrebbe allora una scadenza a 6 anni) il tasso passi al 5%, l’investitore si troverebbe in portafoglio un investimento sotto remunerato e difficilmente riuscirebbe a vendere quel bond con un rendimento così basso, oppure dovrebbe venderlo ad un prezzo che, nel contempo, si sarebbe abbassato e quindi dovendo consolidare una perdita netta sul capitale.
I soggetti più esposti a questi rischi sono senza dubbio i fondi pensione e le compagnie di assicurazione europee, in quanto tipicamente investono proprio sui bond a lunga scadenza come quelli a 15 e 30 anni; per questi soggetti e per i loro clienti più sarà considerevole l’investimento eseguito sulle lunghe scadenze, maggiore sarà il rischio di perdite.
Grazie all’immissione di oltre tre trilioni di euro di quantitative easing e le nuove emissioni corporate europee, negli ultimi 3 anni il rendimento sulla sottoscrizione del debito è sceso progressivamente dal 3.9% del primo trimestre 2011, al 2.8% del primo trimestre 2012 e, infine, all’1.7% del primo trimestre 2013, e gli investitori hanno ora più di un motivo per essere nervosi.
I rendimenti dei Bund tedeschi sono scesi nel contempo dal 2.0/2.6% di due/tre anni fa all’attuale 0.3% e la curva dei rendimenti si è mantenuta costantemente ribassista negli ultimi 5 anni.
Di fronte a quale scelta si troveranno gli investitori nel vicino futuro, si domanda Burton: prepararsi a consolidare una perdita sui loro capitali a causa dei rendimenti insufficienti a coprire financo la svalutazione, oppure tentare di preservare il capitale anche a costo di bassi o nulli rendimenti e consolidare una perdita netta sul capitale volendosi disfare di quegli investimenti?
In entrambi i casi, secondo Burton, si tratterà di perdere, e questo non potrà che ingenerare ulteriore nervosismo e sfiducia fra gli investitori che, se al momento privilegiano i più sicuri titoli del debito pubblico sovrano, torneranno, probabilmente presto in cerca di maggiori rendimenti.
Nella fase attuale la tendenza sembra essersi già avviata e sia i fondi pensione che le compagnie assicuratrici raccolgono ora i fondi degli investitori che monitorano con costanza i loro rendimenti pur considerando ancora troppo rischioso investire in titoli azionari che promettono alti rendimenti ma sono soggetti ad un alto livello di rischio.
Non appena le banche centrali daranno segnali di interruzione dei quantitative easing che hanno fino ad ora inondato le economie di liquidità a basso prezzo, i rendimenti dei bond riprenderanno a salire e gli investitori dovranno essere pronti a cogliere i segnali di questa inversione di politica monetaria per evitare di accumulare pesanti perdite.
Prendendo ad esempio un investitore che acquista oggi un bond a 10 anni e ne riceve un rendimento del 2%, che è inferiore al tasso di inflazione; supponendo che nel giro di quattro anni lo stesso bond ( che avrebbe allora una scadenza a 6 anni) il tasso passi al 5%, l’investitore si troverebbe in portafoglio un investimento sotto remunerato e difficilmente riuscirebbe a vendere quel bond con un rendimento così basso, oppure dovrebbe venderlo ad un prezzo che, nel contempo, si sarebbe abbassato e quindi dovendo consolidare una perdita netta sul capitale.
I soggetti più esposti a questi rischi sono senza dubbio i fondi pensione e le compagnie di assicurazione europee, in quanto tipicamente investono proprio sui bond a lunga scadenza come quelli a 15 e 30 anni; per questi soggetti e per i loro clienti più sarà considerevole l’investimento eseguito sulle lunghe scadenze, maggiore sarà il rischio di perdite.