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La Russia lascerà andare il greggio alla deriva prima del nuovo colpo di Trump?

Pubblicato 11.06.2019, 15:42
Aggiornato 02.09.2020, 08:05
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La musica era partita. Tutto quello che i russi dovevano fare era cantare insieme ai sauditi. Ma la canzone che è venuta fuori alla fine non andava per niente a tempo con le necessità dell’OPEC.

Stiamo parlando dell’accordo sui tagli alla produzione del gruppo OPEC +10, il meccanismo di supporto dei prezzi del greggio concordato dall’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio, guidata dai sauditi, e dai suoi dieci alleati produttori con a capo la Russia.

Quando mancano solo due settimane al vertice dei membri OPEC del 25 giugno ed a quello dell’alleanza del giorno successivo, i Russi sono ancora lenti nell’esprimere il loro supporto ai tagli alla produzione che, secondo i sauditi, saranno necessari nella seconda metà dell’anno per impedire un nuovo tonfo dei prezzi del greggio.

L’opportunità mancata di estendere l’impennata del greggio dopo l’annullamento dei dazi messicani

Sulla scia della decisione dell’ultimo minuto del Presidente USA Donald Trump di non applicare dazi sul Messico, la risposta della Russia (o la mancata risposta in questo caso) è costata all’OPEC ed ai tori l’opportunità di spingere più in alto i prezzi ieri, in seguito al dietrofront del Presidente.

WTI 300-Min Chart - Powered by TradingView

Il greggio U.S. West Texas Intermediate si è attestato a -1,3% ieri, dopo il rimbalzo del 4% delle ultime due sedute, quando è cominciata a circolare la notizia della nuova posizione di Trump a proposito del Messico. Il Brent, il riferimento globale del greggio scambiato nel Regno Unito, è crollato dell’1,6% ieri, perdendo anch’esso il rialzo del 4% delle due sedute precedenti. I principali indici azionari di Wall Street, invece, sono rimbalzati dell’1% ieri, con i trader che hanno festeggiato la decisione di Trump sul Messico.

Sebbene i prezzi del greggio siano saliti negli scambi asiatici di questo martedì, la ripresa sembra vulnerabile.

L’OPEC lascerà che la Russia elabori la sua “dinamica” prima

Il Ministro per l’Energia saudita Khalid al-Falih, il ministro del petrolio più influente all’interno dell’OPEC, ha confermato i timori dei mercati sulla Russia ieri, riconoscendo che “l’ultimo paese che deve ancora salire a bordo (per quanto riguarda la proroga dei tagli alla produzione) è la Russia”.

“Aspetterò che vengano definite le dinamiche russe”, ha affermato Falih in un’intervista all’agenzia stampa Tass di Mosca. “Ovviamente nel paese si discute circa l’esatto volume che la Russia dovrebbe produrre nel secondo semestre”.

L’amministratore delegato della russa Rosneft (OTC:OJSCY), la compagnia petrolifera più grande del mondo, è tra quelli che cercano di convincere Mosca a non stringere un altro patto sulla produzione con l’OPEC, avvertendo che il paese perderà partecipazione di mercato a tutto vantaggio degli Stati Uniti se taglierà altre esportazioni. L’avvertimento di Igor Sechin giunge sulla scia dell’aumento della produzione petrolifera statunitense il mese scorso al massimo storico di 12,4 milioni di barili al giorno. Le esportazioni USA hanno, nel frattempo, toccato i 3,4 milioni di barili al giorno, avvicinandosi ai picchi precedenti di 3,6 milioni di barili al giorno con i tagli di russi e sauditi che hanno fatto effetto.

Il mondo sa che ci sono voluti tagli della produzione di almeno 1,2 milioni di barili al mese da parte dell’OPEC +10 da dicembre (a cui hanno contribuito perlopiù i sauditi) per consentire al greggio di segnare la straordinaria impennata di oltre il 40% nei primi quattro mesi di quest’anno. E questo prima del recente selloff scatenato dalle voci di dazi sul Messico, dell’impennata della produzione petrolifera USA e delle sue scorte, e del peggioramento dello scontro commerciale USA-Cina. Ed è risaputo anche che, senza i russi, l’OPEC potrebbe non essere più l’OPEC.

La Russia sta facendo altri danni ai prezzi del greggio nel frattempo

Ciononostante, i russi stanno danneggiando più che aiutando il greggio in questo momento.

Ieri, il principale negoziatore di Mosca per l’OPEC, il Ministro per l’Energia Alexander Novak, è inaspettatamente partito per la tangente suggerendo che il greggio potrebbe persino scendere a 30 dollari al barile senza un nuovo accordo sui tagli alla produzione.

Se anche fosse vero e riconosciuto sia da tori che da orsi, difficilmente sarebbe il tipo di cose che il mercato dovrebbe sentirsi dire dal principale alleato dell’OPEC.

In effetti, si potrebbe capovolgere la logica di Novak ed essere spinti a chiedersi: è tutto questo che vale fondamentalmente il greggio ora, in vista del periodo più intenso per la domanda di carburante negli Stati Uniti, il picco della stagione estiva di guida?

A peggiorare le cose, il ministro russo ha affermato che c’è la “necessità di monitorare (il) mercato petrolifero per prendere una decisione bilanciata a luglio”.

La Russia e l’OPEC agiranno prima che Trump lanci un’altra palla curva al mercato petrolifero?

Il riferimento a “luglio” di Novak ha fatto suonare altri campanelli di allarme per gli hedge fund prudenti ed altri trader del greggio, in quanto i russi stanno insidiosamente insistendo affinché le trattative OPEC +10 vengano rinviate fino ad allora, mentre i sauditi sono determinati ad attenersi al programma di giugno. Anche l’Iran, membro chiave dell’OPEC ma sotto le sanzioni USA che impediscono al suo greggio di essere esportato liberamente, si oppone al rinvio del vertice a luglio.

Con tutti i misteriosi eventi dietro le quinte previsti da ora alle prossime due settimane all’OPEC, ci si dovrebbe chiedere se il cartello ed i russi vogliano davvero perdere l’occasione di compensare le perdite a doppia cifra di maggio, quando gli short-seller del greggio avranno relativamente meno frecce al loro arco in estate.

Ed è una domanda pertinente perché Trump, il principale sconvolgitore dei prezzi del greggio quest’anno, potrebbe ancora lanciare un’altra palla curva al mercato.

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