Come si ferma un’inondazione una volta distrutta la diga? È questa la sfida che affrontano le banche centrali con il lancio dei vaccini che promette una fine alla crisi del COVID-19.
Dopo aver tirato fuori un bazooka nonché altre armi più potenti per tenere a bada gli investitori durante la pandemia, come faranno i policymaker delle banche centrali a riporre queste armi?
Le banche centrali hanno inondato di liquidità il sistema finanziario, hanno sostenuto i mercati come creditori e compratori da ultima spiaggia ed hanno rassicurato gli investitori affermando di poter generare una quantità infinita di denaro per gestire la crisi.
L’allentamento è stato facile; gestire le aspettative dei mercati potrebbe essere più difficile
E questa, a posteriori, era la parte facile. Gestire le aspettative durante la ripresa renderà chiave le comunicazioni per mantenere calmi gli investitori nervosi.
E questo non è certo stato il forte dei banchieri centrali. Non dimentichiamoci del tristemente noto “taper tantrum” del 2013, quando i policymaker della Federal Reserve avevano giudicato male l’impatto del dire agli investitori che intendevano ridurre gradualmente il quantitative easing implementato per contrastare la crisi finanziaria.
Titoli azionari e bond erano crollati quando l’allora presidente della Fed Ben Bernanke aveva riferito ad una commissione del Congresso che la Fed avrebbe probabilmente cominciato a ridurre gli acquisti di bond man mano che l’economia fosse migliorata.
La Fed è diventata più cauta nei suoi commenti, ma ciò non risolve il problema fondamentale del comunicare le intenzioni della banca centrale e, ancor più importante, convincere gli investitori che l’eventuale inasprimento della politica monetaria è nel loro interesse.
In questo contesto, il consenso forgiato dalla crisi potrebbe cominciare a dissolversi, con le tendenze divergenti di “falchi” e “colombe” che torneranno a riaffermarsi.
All’interno della Fed, i falchi dei tassi di interesse, guidati da Esther George e Loretta Mester, presidenti rispettivamente delle banche regionali di Kansas City e Cleveland, cominceranno ad insistere per delle linee guida secondo cui la prevista ripresa economica richiederà una posizione meno accomodante da parte della banca centrale. Colombe come Neel Kashkari di Minneapolis e James Bullard di St. Louis cercheranno di ridimensionare questo atteggiamento.
Allo stesso modo, i 25 membri del consiglio direttivo della Banca Centrale Europea cominceranno a scontrarsi: i falchi tedeschi e olandesi insisteranno per un inasprimento e le colombe metteranno un freno a simili interventi. Ironicamente, questo potrebbe far risaltare le qualità della Presidente della BCE Christine Lagarde, i cui trascorsi politici l’hanno resa abile a trovare compromessi.
La Banca d’Inghilterra sta pensando all’idea di tassi di interesse negativi, ma chiaramente sembra riluttante a prendere questa strada. Il punto interrogativo per i suoi policymaker resta capire come andrà l’economia dopo la Brexit e le opinioni sono molto varie sull’argomento.
Infine, la domanda per la Fed e le altre banche centrali sarà se l’inflazione comincerà ad accelerare. E la domanda successiva sarà come reagire se questo dovesse effettivamente succedere.
I policymaker della Fed non si aspettano di alzare i tassi prima della fine del 2023 o, almeno, non al momento. Ma, come sempre, reagiranno ai dati in arrivo e rivedranno le loro proiezioni di conseguenza.
La Fed tollererà un tasso di inflazione superiore al 2% per più di un nanosecondo? Più facile a dirsi che a farsi, anche se ha dichiarato che la lascerà correre sopra il 2% per un po’ per compensare il lungo periodo in cui l’inflazione è rimasta al di sotto dell’obiettivo.
Le altre banche centrali saranno costrette a seguire a ruota l’esempio della Fed. La Cina potrebbe lavorare per internazionalizzare il renminbi e liberalizzare l’accesso ai suoi mercati finanziari, ma un regime reazionario implica che tale processo sarà lento, perciò la valuta cinese non rappresenta alcuna minaccia per il predominio del dollaro.
L’UE dovrà mettersi seriamente a promuovere un’unione bancaria se intende far diventare l’euro un rivale del dollaro USA e non ci sono segnali che ciò succederà il prossimo anno, né in questa vita. Per ora, questo significa che il dollaro e la Fed sono in pole position.
Forse hanno tutti ragione e l’inflazione non supererà il 2% l’anno prossimo, né quello dopo, né quello dopo ancora. E quindi la Fed resterà col dilemma di come fermare gli acquisti di bond, come smettere di reinvestire sui bond in scadenza, come portare sotto controllo il bilancio e, infine, come far sapere al mondo che i tassi di interesse saliranno.
Ciò significa che gli investitori dovranno ascoltare con attenzione.