Europa! Cambia le regole o sei finita

Pubblicato 03.10.2024, 09:03
Il solo antidoto alla disoccupazione permanente è la crescita economica (N. Baverez).


Serie di PMI dell’Europa di settembre in uscita oggi alle 10:00: Servizi (stima 50,5 da 52,9 di agosto) e Composito (stima 48,9 punti da 51 di agosto).
 
Richieste settimanali di sussidi alla disoccupazione USA alle 14:30 (stima 221k da 218k della scorsa settimana) e serie di PMI sempre di settembre alle 15:45: Servizi (stima 55,4 punti da 55,7 di agosto) e Composito (stima 54,4 punti da 54,6 di agosto). Alle 16:00 è atteso l’ISM non manifatturiero di settembre (stima 51,6 punti da 51,5 di agosto).
 
Cala la disoccupazione di agosto in Italia (6,2% contro 6,5% atteso e 6,4% di luglio). Stabile invece al 6,4% la disoccupazione dell’Europa sempre di agosto.
 
In crescita maggiore delle previsioni gli occupati ADP USA di settembre (143k contro 124k attesi e 103k di agosto), il numero più altro degli ultimi tre mesi, con il settore manifatturiero che ha aggiunto posti di lavoro per la prima volta da aprile. Le aspettative del settore privato USA continuano quindi ad essere positive, buona notizia quindi per la tenuta dei consumi e in definitiva per la crescita del PIL.
 
Mario Draghi, l'ex presidente della BCE, ha visto il futuro competitivo dell'Europa, e non è affatto roseo. Secondo Draghi, l'Europa si trova di fronte a una "sfida esistenziale" che richiederà migliaia di miliardi di euro per finanziare iniziative chiave volte a stimolare la crescita futura.
 
Tra le priorità: la digitalizzazione della sua economia, soluzioni per il cambiamento climatico e il rafforzamento della difesa militare europea, tutti elementi importanti per la competitività futura del continente. Questo richiamo è teoricamente pratico, ma difficilmente realizzabile nella realtà, considerando i problemi strutturali che frenano la crescita.
 
A ostacolare la crescita e la competitività dell'Europa ci sono forze difficili da contrastare, come:
 
·        una forza lavoro in diminuzione combinata a una bassa produttività dovuta a fattori demografici sfavorevoli;
·        un blocco frammentato di 27 Stati membri, gravato dall'eccessiva regolamentazione;
·        una forte dipendenza energetica da fonti esterne;
·        molteplici focolai geopolitici (Ucraina/Medio Oriente) che continuano a spingere ondate di migranti verso l'Europa, mettendo sotto pressione le risorse e alimentando sentimenti anti-immigrazione.
 
Non c'è da meravigliarsi, quindi, che l'innovazione in Europa sia lenta. Ci sentiamo quindi di poter affermare che l'innovazione e la competenza tecnologica non sono i punti di forza dell'Europa. Di conseguenza, l'Unione Europea (UE) è drammaticamente indietro rispetto agli Stati Uniti (ma anche all'Asia) in termini di incubazione di grandi aziende. L'Europa ospita poche aziende con una capitalizzazione di mercato superiore a 100 miliardi di euro che siano nate negli ultimi 50 anni. Nel frattempo, sei aziende statunitensi attualmente valutate oltre 1 trilione di dollari sono nate in questo periodo.
 
Tra le 25 aziende più grandi del mondo, l'Europa ne ospita solo una. Quasi un terzo delle "unicorni" fondate in Europa (definite come aziende con un valore superiore a 1 miliardo di dollari) ha trasferito la propria sede all'estero, principalmente negli Stati Uniti, attratte dalle prospettive di finanziamento e da un ambiente normativo più favorevole.
 
Il rapporto di Draghi richiede una strategia industriale a livello UE supportata da un ambiente normativo favorevole alle imprese (un'impresa piuttosto ardua, a nostro avviso). Considerando i continui trimestri di crescita bassa o stagnante e gli elevati livelli di debito pubblico nella regione, c'è poco appetito fiscale per sostenere tale livello di spesa pubblica.
 
Entra quindi in gioco l'investimento del settore privato. Da questo punto di vista, notiamo come il divario di investimenti del settore privato americano ed europeo si sia ampliato negli ultimi anni, mettendo l'Europa sulla corsia lenta rispetto agli Stati Uniti (e al resto del mondo).
 
 
Fonte: Eurostat; Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico; Commissione europea.
 
Alla fine, non è la prima volta che si esorta l'Europa a liberarsi dalle manette della crescita lenta (ricordiamo l'Agenda di Lisbona del 2001). E dato il ritmo di cambiamento lento, probabilmente non sarà l'ultima. Questo è uno dei motivi per cui continuiamo a preferire gli asset statunitensi rispetto a quelli europei.
 
 
 
 
 

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