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Fine dei dogmi della politica monetaria?

Pubblicato 13.02.2023, 08:38
Aggiornato 12.01.2022, 13:50

Non piangere perché è finito, sorridi perché è successo” (Gabriel Garcia Marquez)

La settimana appena conclusa ha dato i primi segnali di cedimento del rally iniziato nel mese di dicembre 2022. Il primo elemento che va sottolineato è il balzo in avanti del Vix sull’S&P 500, ovvero il cosiddetto “indice della paura”, salito del 12% in una settimana, mentre da inizio anno e su base annua, è ancora in territorio negativo. Anche gli indici americani hanno iniziato a dare segnali di debolezza con il Russell 2000 e il Nasdaq in calo rispettivamente del 3,4% e del 2,2%. In generale per Wall Street si è trattato della peggiore settimana in oltre 2 mesi. In questo contesto Piazza Affari continua a muoversi in controtendenza, con un rialzo dell’1,8%, portando il guadagno da inizio anno al 15% e recuperando tutto il terreno perduto nel corso del 2022. A mantenere tonico il nostro listino una “sana” rotazione settoriale che ha visto fare staffetta tra titoli bancari, energetici e industriali/energia. La settimana in corso sarà densa di appuntamenti importanti sia a livello macroeconomico che corporate. Venerdì 17 sarà inoltre una giornata di scadenze tecniche, che potrebbero accentuare la volatilità del mercato. Riflettori puntati martedì sul dato sull’indice principali prezzi al consumo a gennaio in Usa, atteso in calo sulla rilevazione precedente ovvero +5,5% rispetto a +5,7%.  Mercoledì invece riporterà Cisco, da sempre un benchmark per capire il livello degli investimenti delle grandi imprese su scala globale e quindi anticipatore dell’andamento dell’economia reale.

Fine dei dogmi della politica monetaria?

L’obiettivo del 2% dell’inflazione, a cui si ispira la Bce e in misura minore a Fed, sono una soglia psicologica più che statistica. Nel senso che aiuta a mantenere una disciplina nella politica monetaria ma non è la cura per tutti i mali. Anche il dogma del 3% dei deficit/pil del trattato di Maastricht è stato superato di fronte ai cambiamenti imposti dalla pandemia. I banchieri dovrebbero prendere atto che il mondo è cambiato anche per loro. Non ci sono più infatti i 500 milioni di cinesi che tutte le mattine vanno a lavorare per produrre beni di consumo a costi bassi tenendo bassa l’inflazione mondiale. Fed e Bce dovrebbero riflettere su questa nuova normalità e modificare i propri obiettivi, ad esempio alzando l’asticella dell’inflazione dal 2% al 3%. I mercati stanno probabilmente scontando questa ipotesi forti anche del cambio di atteggiamento dei cultori della materia ovvero gli economisti. La posizione di quelli tedeschi ad esempio è che se si combatte solo l’inflazione, si determina una riduzione dell’occupazione, dei salari e delle probabilità di trovare lavoro che impatta sulle fasce più fragili della popolazione, le quali, a loro volta, rispondono tagliando i consumi. Se questa tesi dovesse diventare prevalente tra gli esperti allora è lecito aspettarsi che anche Powell e Lagarde inizieranno e mettere in dubbio la propria strategia aggiornando le regole ai tempi che cambiano.

L’Italia al centro

Il nostro Paese continua ad essere al centro degli interessi del mercato, non solo azionario. Il Paese attrae capitali dall’estero grazie al percorso intrapreso dal precedente Governo tecnico sul piano delle riforme e che la nuova maggioranza politica uscita dalle elezioni ha consolidato. L’attuazione del Pnrr prosegue senza intoppi, e dopo che nel 2022, tutti gli obiettivi sono stati centrati, con relativi versamenti di denaro dall’Europa, anche nel 2023 la strada intrapresa è quella giusta. Ragione per cui nel mese di dicembre la produzione industriale su base mensile è cresciuta dell’1,1%, nonostante il rallentamento del Pil nel quarto trimestre 2022 (dopo 8 trimestri consecutivi di rialzo). Le aste dei titoli di stato vengono ampiamente sottoscritte dagli investitori istituzionali mondiali e anche gli investitori privati sono tornati a investire in obbligazioni societarie, citiamo il successo dell’offerta di Eni (BIT:ENI) su un orizzonte di 5 anni, a dimostrazione che la propensione al rischio sta aumentando. Stabilità politica, sostenibilità del debito, economia in crescita, si riflettono su un mercato azionario che tocca i massimi di periodo, top performer mondiale da inizio anno. In questo contesto il segmento delle small cap, rappresentando l’economia reale del Paese, va considerata con grande attenzione tra le asset class da inserire strutturalmente in un portafoglio ben diversificato.

Ultimi commenti

Analisi un po’ troppo ottimista….
Concordo al 100%. L'obiettivo del 2% dovrebbe essere puramente teorico, in quanto il suo raggiungimento potrebbe costare molto caro, soprattutto a livello occupazionale e di budget delle famiglie, particolarmente in Europa.
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