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La riforma fiscale di Trump : non è tutto oro quello che luccica

Pubblicato 05.11.2017, 18:22
Aggiornato 04.10.2023, 19:20
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Gentili Lettori di Investing.com,

la settimana appena conclusa è stata caratterizzata da un ulteriore, seppur incrementale, apprezzamento dei listini azionari mondiali sostenuti dai dati sulla crescita del PIL in Eurozona nel terzo trimestre superiori alle aspettative (+2,5%), dagli ottimi dati trimestrali divulgati dai colossi tech Apple Inc (NASDAQ:AAPL) e Facebook (NASDAQ:FB) e dall'ulteriore incremento del prezzo del petrolio (Brent e WTI ai massimi da Luglio 2015) che ha spinto al rialzo il settore petrolifero.

Numerosi eventi politici e macroeconomici rilevanti degli ultimi sette giorni hanno, tuttavia, riguardato gli Stati Uniti.
Donald Trump ha nominato Jerome Powell quale successore di Janet Yellen alla guida della Federal Reserve da Febbraio 2018.

Tale scelta è da considerarsi nella logica della continuità della gestione volta ad un graduale rialzo dei tassi d'interesse ed una progressiva normalizzazione della politica monetaria.

Nonostante la creazione di nuovi posti di lavoro ad Ottobre sia risultata inferiore alle aspettative (+260.000 contro attese di +310.000), il tasso di disoccupazione ha toccato il livello più basso da inizi 2000 (4,1%) di fatto incrementando ulteriormente le possibilità di un nuovo ritocco al rialzo dei tassi d'interesse dell 0,25% a metà Dicembre (da +1,25% a +1,50%).

Desta preoccupazione tuttavia, il modesto tasso di crescita dei salari (+2,4% su base annua contro aspettative di +3%) che continua ad influire negativamente sul tasso d'inflazione (fermo al +1,5% ).

Rialzare i tassi d'interesse quando la ricchezza della forza lavoro non cresce in modo adeguato alla lunga deprime i consumi e incrementa il costo da sostenere per interessi passivi da indebitamento per mutui e finanziamenti; non si tratta certamente di una spirale virtuosa.

Sul fronte politico, sono emersi finalmente dettagli circa la riforma fiscale che Trump intende presentare al Congresso entro metà Dicembre, e non tutti i settori dell'industria sono rimasti favorevolmente impressi.

Infatti, pur avendo come cardine la riduzione dell'aliquota fiscale per le imprese dal 35% al 20%, la riforma sarà accompagnata da:
- minor deducibilità fiscale degli interessi passivi per gli acquirenti di immobili residenziali con un valore superiore ai 500.000 USD
- incremento delle aliquote fiscali per le multinazionali che trasferiscono capitali tra le diverse sussidiarie al di fuori degli Stati Uniti
- minor deducibilità degli intressi passivi per le imprese che adottano alti livelli di indebitamento
- perdita dell'esenzione fiscale sugli intressi percepiti dagli acquirenti delle obbligazioni emesse dai comuni e dagli Stati (MUNI BONDS) per sovvenzionare la spesa pubblica locale.

In sintesi ad essere avvantaggiate dovrebbero essere le piccole società domestiche con un basso livello di indebitamento; penalizzato invece il settore immobiliare, le società di Private Equity e quelle con un tasso di indebitamento particolarmente elevato.

Perplessità anche tra le multinazionali in attesa di ulteriori dettagli circa l'entità dell'incremento della tassazione per i pagamenti intra-gruppo ma tra sedi fuori dagli USA.

In Europa, invece, degno di nota è stato il primo rialzo dei tassi d'interesse degli ultimi dieci anni in Gran Bretagna (da +0,25% a +0,50%); nonostante il contesto di elevata incertezza determinato dal lento avanzamento delle trattative con l'UE post Brexit non fosse l'ideale per una stretta monetaria, il rialzo del costo del denaro è stato letteralmente imposto dal balzo impressionante dell'inflazione (+3% a Settembre) dovuto dal forte indebolimento della sterlina negli ultimi mesi che ha incrementato in modo notevole il costo dei beni importati dall'estero.

La Banca d'Inghilterra tuttavia, utilizzando un linguaggio eccessivamente prudente e timoroso nel descrivere lo stato dell'economia e nel fornire indicazioni circa i propri obiettivi di politica monetaria ( "i futuri rialzi saranno sporadici e di modesta entità") ha conseguito il risultato opposto; la sterlina che prima dell'annuncio del rialzo dei tassi scambiava a 1,1430 sull'euro si è immediatamente indebolita di più dell'1% scambiando a 1,1190 per poi assestarsi ad 1,1250...un autogol clamoroso!

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