In caso ve lo foste perso, su famiglie e imprese americane incombe un aumento delle tasse da 5 mila miliardi di dollari con l’ultima proposta di bilancio del Presidente Joe Biden, che includerebbe una tassa annua minima del 25% sulle plusvalenze non realizzate per chi ha entrate e asset superiori a 100 milioni di dollari.
Se dovesse essere approvata, l’aliquota marginale massima sui guadagni a lungo termine e sui dividendi salirebbe a ben il 44,6%, la più alta di questo tipo nella storia degli Stati Uniti.
Il piano di Biden propone altri cambiamenti alle norme fiscali, ma concentriamoci sulla parte che riguarda i guadagni non realizzati, perché potrebbe avere conseguenze indesiderate per l’economia statunitense, la libertà personale e il tessuto stesso dell’innovazione americana.
In realtà, non credo che un Congresso profondamente diviso sarebbe in grado di trovare i voti necessari per approvare questa politica, ma è importante che la gente sia almeno consapevole delle possibili conseguenze.
Quando i guadagni non sono guadagni
L’idea di tassare le plusvalenze non realizzate - l’aumento di valore di un bene, come una proprietà o titoli, che non è ancora stato venduto - non solo non ha precedenti, ma è fondamentalmente sbagliata.
Immaginate di comprare le azioni di una compagnia per un milione di dollari e che, l’anno dopo, queste azioni si apprezzino a 1,5 milioni. Con il piano di Biden, dovreste pagare le tasse su questi 500.000 dollari, pur non avendo venduto le azioni né realizzato alcun profitto.
Ora, immaginate che il valore del titolo torni a 1 milione di dollari l’anno dopo. Avete già pagato il 25% su un guadagno che esisteva solo sulla carta, e ora vi ritrovate a dover sostenere un onere finanziario senza alcun beneficio economico effettivo.
Si può capire come questa politica possa non andare a genio alla comunità degli investitori. Come ha twittato la scorsa settimana l’imprenditore Anthony Pompliano: “Se vogliono riscuotere i guadagni non realizzati, avremo bisogno di rimborsi sulle perdite non realizzate”.
Scott Melker, conduttore del popolare podcast Wolf of All Streets, ha commentato che gli investitori facoltosi impiegheranno semplicemente una strategia speciale per minimizzare l’impatto di questo ulteriore onere fiscale.
Se le tasse passano al 44% sulle plusvalenze, i ricchi si limiteranno ad accendere altri prestiti contro i loro portafogli e non venderanno mai.
E l’interesse su questi prestiti è… DEDUCIBILE DALLE TASSE!
Il governo guadagnerà di meno.
Noioso.— The Wolf Of All Streets (@scottmelker) 26 aprile 2024
Impatto su small cap e startup
Questa politica potrebbe drasticamente distorcere il comportamento di investimento, soprattutto per quanto riguarda le small cap, le start-up e le compagnie agli inizi.
Sapendo che i loro guadagni non realizzati saranno tassati, gli investitori sarebbero meno propensi a investire in aziende orientate alla crescita, che tendono a subire maggiori oscillazioni di valutazione su base annua rispetto a società più grandi e consolidate.
La conseguenza? Un tasso di innovazione più lento e una crescita ridotta della produttività.
Ampia opposizione alle nuove misure fiscali
Probabilmente non sarete sorpresi di sapere che gli americani sono contrari alla tassazione dei guadagni non realizzati.
L’opposizione a queste politiche fiscali non è solo finanziaria ma profondamente psicologica, radicata negli ideali americani di giustizia e diritto di godersi il frutto del proprio lavoro senza interferenze del governo.
Come le politiche fiscali influenzano i cambiamenti demografici
Tasse più alte influenzano anche i cambiamenti demografici.
I dati del Census Bureau lo mostrano chiaramente: si verifica una significativa migrazione netta verso gli stati in cui le tasse sono al di sotto della media nazionale. Guardiamo il grafico sotto. New York, Illinois e California, che applicano pesanti tasse ai loro residenti, hanno visto le maggiori percentuali di persone andarsene tra il 2020 e il 2023, mentre Texas, Florida e South Carolina hanno registrato la crescita più veloce della popolazione.
Le small cap avvertono la pressione
Tutto questo in un contesto di aumento dei rendimenti dei Treasury mentre persistono i timori per l’inflazione e aumentano i dubbi che la Federal Reserve riuscirà ad abbassare i tassi quest’anno. Gli alti costi di prestito hanno colpito tutti noi, ma sono un problema soprattutto per le small cap, generalmente più sensibili ai cambiamenti economici a causa dei debiti elevati e dei minori cuscinetti finanziari.
Il grafico sotto mostra la relazione inversa tra il rendimento decennale e il Russell 2000. Quando il rendimento dei bond è scambiato sopra la media mobile su 50 giorni, il sell-off dei titoli small cap accelera.
I titoli small cap potrebbero continuare a incontrare ostacoli significativi, soprattutto se i tassi resteranno alti e se Biden riuscirà a tassare i guadagni non realizzati. Rispetto all’S&P 500, le small cap sono scambiate ai minimi dalla bolla delle dotcom, il che le rende un’interessante potenziale opportunità di investimento.
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