Sulla scia del forte rapporto NFP di venerdì, l’USD si è mosso lateralmente, perché gli operatori hanno continuato ad aggiustare le posizioni in funzione delle attese di una BCE colomba alla riunione del 10 marzo.
Venerdì il dato NFP riferito a febbraio si è attestato a 242 mila unità, superando le 195 mila previste dal mercato, inoltre la cifra del mese precedente è stata rivista al rialzo, a 172 mila da 152 mila unità.
La notizia positiva, tuttavia, non è servita granché per stimolare i tori del dollaro, perché le cifre sulle retribuzioni sollevano degli interrogativi sulle prospettive d’inflazione.
A febbraio, le retribuzioni orarie medie si sono contratte del -0,1% m/m, rispetto al +0,2% delle previsioni medie. A parte, sempre a febbraio gli USA hanno fatto registrare un deficit commerciale superiore alle attese, le esportazioni sono, infatti, scese del 2,1%, a 176,5 miliardi di USD, minimo da quattro anni, le importazioni sono scivolate dell’1,3% a 222,1 miliardi di USD.
In Asia, l’EUR/USD è passato di mano in una fascia ristretta compresa fra 1,0975 e 1,0997. Al rialzo, il livello a 1,1044 rimane la resistenza più vicina (50% di Fibonacci sul rally di gennaio e febbraio), invece al ribasso la coppia troverà il primo supporto intorno a 1,0965 (61,8% di Fibonacci).
Ci aspettiamo una forza circoscritta dell’euro in vista della riunione della BCE in programma giovedì, perché Mario Draghi potrebbe sorprendere il mercato.
Per il momento, i partecipanti al mercato prevedono un taglio di 10 punti base del tasso sui depositi, che scenderebbe dunque al -0,40%.
Il mercato, però, rimane sulla difensiva e preferisce evitare di scontare aspettative troppo accomodanti, soprattutto dopo quello che è successo lo scorso 3 dicembre.
Fra le valute G10, lo yen giapponese è stata l’unica divisa in grado di resistere contro il dollaro USA grazie al suo status di rifugio sicuro.
La coppia USD/JPY si è consolidata intorno a 113,70. Al ribasso, si osserva un supporto a 112,16, mentre al rialzo una resistenza giace a 114,87.
In Cina, il premier Li Keqiang ha annunciato gli obiettivi della seconda economia mondiale per l’anno in corso. Il prodotto interno loro dovrebbe attestarsi fra il 6,5% e il 7%.
Ha anche affermato che il governo affronterà scrupolosamente il problema delle “aziende zombie”, “ricorrendo a misure come fusioni, riorganizzazioni, ristrutturazione del debito e liquidazioni per bancarotta”.
Il mercato ha reagito bene all’annuncio, spingendo in territorio positivo i titoli cinesi.
Gli indici compositi di Shanghai e Shenzhen hanno guadagnato rispettivamente lo 0,81% e il 2,03%. A Hong Kong, l’Hang Seng è rimasto piatto. In Giappone, i titoli sono scesi lievemente, il Nikkei ha registrato un calo dello 0,81%, il più ampio indice Topix dello 0,98%.
Il petrolio greggio ha continuato la sua corsa al rialzo perché piano piano rientrano i timori di un eccesso di offerta. Il greggio West Texas Intermediate ha guadagnato l’1,20%, salendo a 36,35 USD al barile, il suo omologo del Mar del Nord, il Brent, è salito dello 0,75% a 39,01 USD.
Ciò nonostante, i forti guadagni del greggio non sono stati di grande aiuto per spingere al rialzo le valute legate alle materie prime, perché gli investitori iniziano a chiedersi se i rally di AUD (aussie) e NZD (kiwi) possano continuare.
Negli scambi notturni, il dollaro neozelandese ha ceduto lo 0,68%, quello australiano lo 0,51%.
Oggi gli operatori monitoreranno le riserve di valuta straniera in Svizzera; la produzione industriale in Norvegia; la bilancia commerciale settimanale in Brasile; il discorso di Fischer (Fed) a Washington; l’attività manifatturiera in Nuova Zelanda.