La lira turca ha vissuto un altro avvio di settimana turbolento, cedendo quasi il 2% contro il biglietto verde dopo l’esplosione di due bombe a Istanbul di sabato.
Per la lira, che diventa sempre più sensibile ai rischi politici locali e allo sviluppo generale della propensione al rischio, sta per iniziare un anno complicato, perché il miglioramento delle prospettive sui rendimenti USA sta trascinando via dai mercati emergenti gli investitori.
Sul fronte politico, il partito del presidente Erdogan, l’AKP, ha presentato una proposta volta ad ampliare i poteri del presidente a scapito del primo ministro.
Le modifiche costituzionali proposte spingerebbero la Turchia verso un sistema di tipo presidenziale da uno di tipo parlamentare.
Se la proposta di legge passerà, probabilmente non sarà vista positivamente dagli investitori internazionali perché metterebbe in pericolo la continuità della stabilità e farebbe aumentare le tensioni politiche nel paese.
L’economia turca sta già facendo fatica a finanziare il massiccio deficit commerciale, pari circa a 15 miliardi di USD, e recentemente la crescita del PIL ha mostrato ulteriori segnali di debolezza.
Nel terzo trimestre, la crescita del PIL è scivolata in territorio negativo, contraendosi dell’1,8% a/a rispetto allo 0,3% delle previsioni medie e al 3,1% del T2.
Le prospettive, purtroppo, non sono rosee: la banca centrale continua a dover fare i conti con forti pressioni inflazionistiche, accentuate dalla debolezza della lira, trovandosi costretta a restringere la politica monetaria.
A fine novembre, infatti, la Banca Centrale di Turchia ha aumentato due dei suoi tassi di riferimento, aumentando il tasso sui pronti di 50 punti base, portandolo all’8%, e quello di rifinanziamento di 25 punti base, all’8,50%.
La TRY non ha reagito alla decisione, perché il mercato continua a concentrarsi sul miglioramento delle prospettive sui rendimenti USA, nella speranza che Donald Trump dia una spinta alla maggiore economia mondiale.