di Francesca Piscioneri
ROMA (Reuters) - Le risorse destinate a tutelare i lavoratori esodati, e finora non utilizzate, sono tornate in pancia al Tesoro e non possono essere utilizzate per una nuova salvaguardia. E problemi di copertura ci sarebbero anche per estendere oltre il 2015 la cosiddetta opzione donna, ovvero la possibilità per le lavoratrici di andare in pensione in anticipo a 57 anni di età e 35 di contributi, ma con l'assegno calcolato con il sistema contributivo, dunque con una penalizzazione di circa il 30%.
E' quanto emerso oggi da una riunione tra i parlamentari e rappresentanti del ministero del Lavoro, del Tesoro e dell'Inps su esodati e opzione donna, due interventi ritenuti fino ad oggi ancora possibili dopo che Matteo Renzi ha frenato sulla possibilità di inserire più sostanziosi e costosi criteri di flessibilità in Finanziaria. Il costo per lo Stato dovrà essere "a somma zero", ha detto il premier nei giorni scorsi.
E a somma zero si pensava che fosse la settima salvaguardia per gli esodati (dopo le precedenti a tutela di circa 170.000 persone), cioè per coloro che si sono trovati senza lavoro e senza pensione a seguito della legge Fornero nel 2012 che ha innalzato repentinamente i requisiti per lasciare il lavoro portandoli, ad oggi, intorno ai 66 anni.
"Dal dicastero [dell'Economia] arriva la notizia che i 3 miliardi di risparmi del Fondo esodati sono dell'Economia e non di diritto per le salvaguardie delle categorie di esodati ad oggi ancora escluse", ha dichiarato il deputato leghista della commissione Lavoro, Roberto Simonetti.
A favore degli esodati sono stati stanziati circa 12 miliardi; il settimo intervento riguarderebbe circa 25.000 persone. Sarebbero 500 i milioni non spesi nel 2013 e 2014 che arriverebbero a 3,3 miliardi fino al 2023.
In realtà i risparmi di riforme precedenti, e già scontati nei tendenziali, non si possono spendere perché andrebbero ad aumentare il deficit.
LE IPOTESI TRAMONTATE E QUELLE ANCORA IN CAMPO
Nel 2014 la spesa pensionistica ha raggiunto i 256,9 miliardi e, secondo il Tesoro, la riforma Fornero ha permesso di ridurne gli oneri al 15,9% del Pil dal 16,3%.
Il presidente della commissione Lavoro, del Pd, Cesare Damiano, ha riferito che anche per l'opzione donne "il Mef richiede coperture e secondo calcoli dell'Inps fino al 2023 si tratterebbe di 2 miliardi; a nostro avviso una cifra esagerata, probabilmente calcolata su una platea più ampia di quella reale".
"E' un fronte caldo, è necessario tornare al buon senso o sarà scontro", ha detto ancora l'ex ministro del Welfare del Pd, già scottato dal mancato recepimento delle sue proposte nei decreti finali del Jobs act.
Sostanzialmente tramontata è invece l'ipotesi Damiano-Baretta che consentirebbe di lasciare il lavoro con almeno 35 anni di contributi e 62 anni di età con riduzioni del 2% per ogni anno di anticipo, misura che secondo l'Inps costerebbe fino a 8,5 miliardi. E ancora più onerosa, pari a 10,6 miliardi, sarebbe l'opzione quota 100. Meno gravoso sarebbe il prestito previdenziale: chi lascia il lavoro in anticipo riceve l'assegno attraverso un prestito della banca garantito dallo Stato, prestito che il lavoratore restituirà gradualmente, una volta raggiunti i requisiti per la pensione, attraverso decurtazioni dell'assegno.
Il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, ha proposto che in finanziaria ci sia almeno un collegato con una "disciplina transitoria per le uscite moderatamente anticipate dal lavoro e per il rafforzamento volontario" dei contributi.