Investing.com – Se una Fed dai toni particolarmente dovish ha stupito i mercati, Bank of England e Bce hanno regalato meno sorprese, optando per un’altra pausa nei rialzi dei tassi ma mantenendo un atteggiamento da falco. Un’esagerata rigidità di fronte all’arrivo di un nuovo ciclo o la giusta dose di responsabilità per evitare il ritorno dell'inflazione? Per capire meglio ragioni e conseguenze della scelta, Investing.com ha raccolto i commenti degli analisti sulle ultime decisioni di politica monetaria.
Silvia Dall’Angelo, Senior Economist di Federated Hermes
La BCE e la BOE sono rimaste fedeli alle proprie posizioni, mantenendo un’impostazione hawkish nei rispettivi ultimi meeting dell’anno, resistendo alla tentazione di seguire la Fed in una svolta dovish. Ancora una volta le Banche centrali europee sono lente a reagire. Due anni fa, hanno ritardato troppo a lungo la lotta all'elevato livello di inflazione ed ora rischiano di infliggere alle loro economie già stagnanti il grave peso di tassi restrittivi.
I timori riguardo all'inflazione non sono scomparsi e le Banche centrali in Europa non vogliono essere interpretate come compiacenti. La BoE si trova di fronte a un'inflazione core vischiosa e ad un'inflazione salariale significativa, con vincoli dal lato dell'offerta che probabilmente sostengono le pressioni sui prezzi. Nell'area Euro, l'inflazione è diminuita più rapidamente del previsto, pur rimanendo al di sopra del livello obiettivo. In particolare, le previsioni dello staff della BCE hanno indicato un'inflazione core ancora leggermente superiore al livello obiettivo alla fine dell'orizzonte di previsione nel 2026, inducendo così la BCE a ribadire il proprio mantra hawkish "sufficientemente restrittivo" per "un periodo sufficientemente lungo".
Dunque, mentre la BoE ha mantenuto il proprio orientamento restrittivo e la BCE ha sottolineato la dipendenza dai dati, il rischio è che le Banche centrali abbiano già inasprito eccessivamente le condizioni monetarie.
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Martina Daga, Macro Economist di AcomeA SGR
Come negli scorsi meeting, la Bce ha ribadito la retorica secondo cui i tassi di riferimento hanno ormai raggiunto un livello che, se mantenuto sufficientemente a lungo, possa contribuire a riportare l’inflazione al target del 2%, senza la necessità di ulteriori rialzi.
Durante la conferenza stampa è stato chiarito che le decisioni di politica monetaria dei prossimi meeting rimangono strettamente dipendenti dai dati, per determinare sia il livello dei tassi sia la durata appropriati per riportare l’inflazione al target. Sono tre i criteri che guidano l’azione della Bce: l’outlook di inflazione, che ha mostrato significativi miglioramenti come evidente dall’aggiornamento delle proiezioni macroeconomiche, il livello di inflazione sottostante, anche da questo punto di vista è stato riconosciuto un rallentamento nel ritmo di crescita e, infine, la forza del meccanismo di trasmissione della politica monetaria, evidente nell’inasprimento delle condizioni creditizie.
Tuttavia, il board della Bce è convinto non sia ancora il momento di abbassare la guardia, infatti le proiezioni di inflazione sono basate su condizioni di mercato passate, la data limite per la formulazione delle proiezioni è stata infatti il 23 novembre, e, inoltre, le misure di inflazione core sono scese velocemente, ma ancora ci sono forti pressioni provenienti principalmente dalla crescita salariale, su cui la Bce vuole vedere ulteriori dati di miglioramento. I dati sui salari relativi al primo trimestre del prossimo anno, probabilmente l’elemento che ancora manca alla Bce, verranno pubblicati solo con un certo ritardo rispetto alla fine del trimestre di riferimento. Lagarde ha infine chiarito che non sono nemmeno stati discussi tagli dei tassi di riferimento, siamo in un periodo di transizione e per il momento è una discussione prematura.
La decisione è stata presa in un contesto macroeconomico di crescita debole in Area Euro, con una lieve contrazione registrata nel terzo trimestre. Alla luce di questo le previsioni di crescita per quest’anno e il prossimo sono state riviste al ribasso. Si prevede che la ripresa della crescita economica del 2025 sarà trainata dall'aumento dei redditi reali, grazie al calo dell'inflazione e alla crescita dei salari, oltre al miglioramento della domanda estera. Riguardo al livello di inflazione, sono stati eliminati riferimenti al fatto che l’inflazione rimanga “too high for too long”, retorica precedentemente usata, ma piuttosto è stato riconosciuto un rallentamento, in particolare nel mese di novembre. Nonostante nel comunicato stampa la Bce affermi che è probabile una ripresa temporanea dell'inflazione nel breve termine e che le pressioni interne sui prezzi rimangono elevate, le proiezioni macroeconomiche mostrano una revisione al ribasso del valore dell’inflazione, sia headline sia core, per quest’anno e soprattutto per il prossimo. Questo prima che l’inflazione torni vicino al target solo nel 2025.
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Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm
Dopo la Fed e la Bank of England, anche la BCE, durante l’ultimo meeting, ha deciso di lasciare invariati i tassi d’interesse: il tasso sui rifinanziamenti principali resta fermo al 4,50%, quello sui depositi al 4% e quello sui prestiti marginali al 4,75%. Con le dichiarazioni del presidente Lagarde, che ha escluso l’ipotesi di un taglio dei tassi in assenza di letture dei dati più favorevoli, la politica monetaria dell’Eurotower sembra oggi intraprendere una svolta più restrittiva rispetto a quella della Fed.
Per il momento le stime della BCE, secondo cui occorrerà aspettare il 2025 per veder scendere l’inflazione complessiva al 2,1%, prevedono un cammino più lungo e graduale rispetto a quanto si aspetta il mercato, che sta già prezzando significativi tagli dei tassi nel 2024.
Al di là dell’oceano, anche la Federal Reserve, durante il meeting di ieri, ha deciso per la terza volta consecutiva di lasciare i tassi d’interesse fermi al 5,25-5,5%, il livello più alto degli ultimi 22 anni. Una mossa ampiamente prevista dai mercati, in linea con l’obiettivo della banca centrale statunitense di attendere gli effetti della stretta monetaria degli ultimi mesi, cercando di conciliare la lotta all’inflazione con l’equilibrio del mercato del lavoro. I policymaker, del resto, si sono impegnati a muoversi con cautela e a procedere ad eventuali ulteriori rialzi dei tassi solo se i dati lo renderanno necessario.
Ad oggi le stime degli analisti su un possibile taglio dei tassi oscillano tra la fine del primo e la fine del secondo trimestre 2024, ma occorrerà attendere i dati relativi a occupazione e inflazione dei prossimi mesi per avere più chiara la direttrice lungo cui si muoverà la politica della Fed.
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Tomasz Wieladek, Chief European Economist di T. Rowe Price
Nell’ultima riunione la Bce ha mantenuto invariati i tassi di riferimento. Tuttavia, le previsioni dello staff di oggi sostengono chiaramente un orientamento di politica monetaria da falco. Le previsioni per l'inflazione core CPI sono del 2,3% nel 2025 e del 2,1% nel 2026. Si tratta di valori nettamente superiori all'obiettivo del 2% della Bce e rappresentano un forte segnale del fatto che la banca centrale europea manterrà i tassi all'attuale livello del 4% ancora per qualche tempo. In altre parole, questo è il modo in cui la Bce comunica ai mercati finanziari che è stato dato troppo peso ai dati deboli sull’inflazione CPI di novembre.
A sorpresa, la Bce ha deciso di annunciare il quantitative tightening sul PEPP durante questa riunione. Ciò è probabilmente dovuto all'ampio rally delle obbligazioni dell'area dell'euro nell'ultimo mese, che ha dato alla Bce l'opportunità di annunciare questa politica senza rischiare un indesiderato crollo del mercato. Ciò contribuisce all'impressione che la Bce voglia inviare ai mercati il messaggio che attualmente i mercati stanno prezzando un eccessivo allentamento.
In futuro, ci aspettiamo che i dati dei Pmi migliorino leggermente grazie al ciclo delle scorte. Il miglioramento dei dati, unito alla comunicazione della Bce, porterà probabilmente a un calo dei rendimenti dei Bund rispetto ai livelli attuali. Tuttavia, a medio termine, la Bce dovrà incorporare il probabile forte freno al Pil derivante dalla contrazione dello 0,7% della spesa pubblica del governo tedesco per il prossimo anno. Questo dato non si riflette nelle previsioni attuali e potrebbe portare la Bce a orientarsi verso una direzione più da colomba. Tuttavia, è probabile che ciò non avvenga prima del prossimo forecast meeting di marzo 2024. Nel frattempo, è probabile che i rendimenti dei Bund cedano con il miglioramento dei dati e con il mantenimento di un atteggiamento da falco da parte della Bce.
Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte
I toni di Lagarde sono stati diversi rispetto a quelli utilizzati da Powell, così come diversi sono i contesti di fronte a cui si trovano Bce e Fed, malgrado i recenti cali dell’inflazione. Segnali di un simile orientamento si colgono, ad esempio, nel fatto che per il 2025 sono state confermate le stime di inflazione al 2,1%, con inflazione core stimata in rialzo (da 2,2% a 2,3%) per lo stesso anno. In altri termini, i recenti cali dell’inflazione non hanno scalfito neanche di un decimale le stime di inflazione generale per il 2025.
La Bce si trova in una situazione differente rispetto alla Fed, soprattutto per due fattori: La Fed ha intrapreso prima della Bce il ciclo di rialzi dei tassi; La Fed ha già iniziato il QT da diversi mesi, mentre per la Bce è ancora in parte in atto un QE, tramite i reinvestimenti del PEPP.
L’ipotesi di un taglio dei tassi, pertanto, potrà essere presa in considerazione non prima dell’inizio della fase di riduzione del piano di reinvestimenti del PEPP, il che pone la Fed potenzialmente in anticipo rispetto alla BCE su un eventuale taglio dei tassi, come prezzato oggi dal mercato mediante la riduzione dei differenziali di tasso sul decennale e il deprezzamento del dollaro in prossimità di 1,10.
La riduzione del piano di reinvestimenti del PEPP è prevista dalla seconda metà del 2024, probabilmente per garantire alla BCE il massimo potenziale dei reinvestimenti del PEPP durante la fase (primo semestre) di picco del refunding di governi/aziende.
La riduzione di tali reinvestimenti pone la questione dei rischi di frammentazione (alias allargamento spread) che Lagarde ha confutato dichiarando “Abbiamo diversi strumenti per contenere la frammentazione”.
Le dichiarazioni di Powell offrono un potenziale supporto al mercato obbligazionario nelle ultime settimane dell’anno, supportando anche l’aspettativa di un’ulteriore continuazione del calo tassi nel corso del 2024. Tuttavia, tale percorso potrà comunque risentire delle numerose emissioni, soprattutto nel corso del primo semestre. Le dichiarazioni di Lagarde consolidano la percezione del fatto che la BCE seguirà solo dopo qualche mese i tagli dei tassi della Fed.
Sul fronte valutario, tali indicazioni depongono a favore di un posizionamento verso area 1,12/1,14 nel corso del primo semestre, con possibilità di inversione verso area 1,06/1,08 nel corso dell’estate, in previsione anche dei massicci flussi di acquisti europei di dollari collegati all’acquisto di gas liquido per la ricostituzione delle scorte.
Sul fronte azionario, lo scenario di tassi che si delinea potrebbe offrire supporto soprattutto al comparto mid small cap a partire dal Russell 2000, con un occhio di riguardo per il mondo tech Usa delle ex “Magnifiche 7”, grazie anche al fatto che questo comparto potrebbe essere oggetto di flussi di acquisizione da parte delle big tech Usa, con operazioni sbilanciate sulla modalità carta contro carta.
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Álvaro Sanmartín, Chief Economist di Amchor IS
La Bce è stata molto meno dovish rispetto alla Fed. Pur rilevando che i tassi hanno raggiunto il massimo, la Lagarde afferma esplicitamente che non sono stati discussi tagli dei tassi di interesse durante la riunione. Inoltre, la dichiarazione prosegue affermando che è necessaria una politica monetaria sufficientemente restrittiva per un periodo di tempo sufficientemente lungo al fine di controllare l'inflazione.
Allo stesso tempo, Lagarde sottolinea che, per ottenere ulteriore fiducia nel processo di disinflazione, sarà importante osservare il comportamento dei margini delle imprese e dei salari nei prossimi mesi. Per il momento, la Bce afferma di non vedere segnali di moderazione salariale. Ciò detto, la Bce riconosce che si stanno compiendo chiari progressi in materia di inflazione. Allo stesso modo, le proiezioni pubblicate oggi riflettono un calo dell'inflazione nel 2024 più rapido di quanto previsto in precedenza.
Inoltre, anche per segnalare che le cose sul fronte dei prezzi stanno andando bene, è stata eliminata la frase contenuta nella dichiarazione secondo cui l'inflazione sarebbe "rimasta troppo alta per troppo tempo". Per quanto riguarda invece la riduzione del bilancio (e rispetto al piano iniziale che prevedeva di mantenere i reinvestimenti del programma di acquisto di PEPP, quello approvato in occasione della pandemia, fino alla fine del 2024), ora si dice che i reinvestimenti inizieranno a ridursi a metà del prossimo anno e che termineranno definitivamente alla fine del prossimo anno. La Bce sta quindi facendo un passo avanti in termini di bilancio, ma lo sta facendo troppo lentamente per fare rumore (almeno per il momento) sul debito periferico.
La mia impressione è che la Bce chiaramente è meno dovish della Fed, dicendo esplicitamente che alla riunione non si è parlato affatto ("at all") di tagli dei tassi. Mi ha colpito anche il fatto che la Lagarde abbia detto, durante la conferenza stampa, che i tassi di mercato sono scesi molto, al di là di quanto la stessa Bce aveva riflesso nelle sue proiezioni. Questo potrebbe essere un segnale che l'autorità monetaria europea non vede di buon occhio cali dei tassi medi e lunghi che vadano ben oltre quanto già visto negli ultimi giorni. Il che, d'altra parte, sembra logico, visto che la curva dei rendimenti europea è attualmente compatibile con tassi reali molto bassi, forse troppo bassi. In termini di sentiment di mercato, e sebbene le dichiarazioni di Lagarde possano rappresentare una certa delusione dopo la festa generata da Powell, tendo a pensare che la dichiarazione della Fed del giorno prima supererà quella della Bce (e della Banca d'Inghilterra).
Annalisa Piazza, Fixed Income Research Analyst di MFS Investment Management
La BCE ha mantenuto i tassi invariati al 4% dopo la riunione del Consiglio Generale. In termini di decisioni di politica monetaria, la transizione graduale del PEPP è relativamente accomodante rispetto alle attese e mostra chiaramente che la BCE non intende danneggiare la trasmissione delle precedenti mosse di politica monetaria. La Lagarde è stata molto chiara nell'affermare che l’esecuzione del PEPP è un processo di normalizzazione ed è possibile grazie alle attuali condizioni di mercato favorevoli (soprattutto la bassa volatilità degli spread). Le prospettive dell'inflazione sono migliorate in tutte le misurazioni, ma la BCE non può abbassare la guardia perché ha bisogno di ulteriori conferme sull'andamento dei salari e dei margini di profitto prima di trovare la giusta chiave di lettura sull'inflazione e orientarsi verso una politica meno restrittiva.
La dipendenza dai dati è ampiamente confermata e, insieme ai dati sul mercato del lavoro, la BCE esaminerà ulteriori indicatori relativi alle condizioni di finanziamento per giudicare se l'aggressivo ciclo di inasprimento si è spinto troppo oltre per la domanda di finanziamenti, sia da parte delle imprese che delle famiglie. I dati recenti non sono stati molto incoraggianti.
Per quanto riguarda le future misure politiche, a differenza della Fed, la BCE non è pronta a indicare quando avverranno i tagli, poiché il quadro generale è ancora confuso. Abbiamo difficoltà a capire quanto il recente rally del mercato abbia spinto in alto i rischi di inflazione quando le condizioni di finanziamento sono ancora rigide (i tassi sui prestiti hanno continuato a salire) e l'euro è più forte.
Il mercato sta già prezzando diversi tagli nel corso del 2024. Tuttavia, con le aspettative che i dati rimangano deboli e che le trattative salariali non portino a un forte aumento del costo del lavoro, rimaniamo positivi sulla duration core dell'Eurozona. Dopo la recente sovraperformance rispetto alla curva US Treasury, non possiamo escludere che il trend cambi a favore dei mercati in cui le banche centrali si stanno chiaramente avvicinando ai tagli (o almeno ne parlano ufficialmente). Per quanto riguarda gli spread, la graduale eliminazione del PEPP non sarà uno shock per la periferia europea. Quindi, al di là delle possibili oscillazioni all'inizio del 2024 dovute a un'offerta anticipata, il prezzo del petrolio sarà in aumento. A meno che non ci si aspetti qualche oscillazione idiosincratica, gli spread dovrebbero rimanere contenuti l'anno prossimo.