MILANO (Reuters) - Il mondo della moda e del lusso italiano ha risorse, idee e talenti, ma non sono valorizzati come dovrebbero a livello di sistema.
Una soluzione coraggiosa sarebbe dare vita a un conglomerato italiano del lusso sul modello francese o quanto meno lanciare una sorta di Eataly del lusso.
E' la "provocazione" - così l'ha definita - fatta dall'analista di Deutsche Bank Francesca Di Pasquantonio al Fashion&Luxury Summit organizzato da Pambianco e dalla banca tedesca.
La sua stima è che il 2017 di chiuderà per il settore globale del lusso con una crescita del 6-7%. L'Italia grosso modo dovrebbe seguire il trend, ma potrebbe fare molto meglio.
Per esempio: oltre la metà della domanda globale è generata dai turisti e il canale "travel retail", che non è minacciato dalla competizione dell'e-commerce, può rappresentare fino al 10% del fatturato.
In questo caso il "fare sistema" è un volano chiave che passa da un'alleanza lusso/turismo, dal coinvolgimento delle istituzioni per facilitare i visti turistici concessi ai cinesi o potenziare il sistema degli aeroporti.
Che l'unione faccia la forza è dimostrato, secondo l'analista, dai conglomerati francesi come Lvmh e Kering (PA:PRTP) che possiedono un insieme di capacità difficile da replicare per i monobrand.
Di qui le due sfide lannciate oggi: prima fra tutte quella tanto spesso invocata di avviare anche in Italia un processo di aggregazione dei marchi, che spesso hanno dimensioni ridotte e un potenziale inespresso.
L'altra è tentare la strada di un 'Eataly' della moda: creare un contenitore retail che possa mettere insieme marchi di qualità italiani che non avrebbero da soli la forza di aprire sulla Fifth Avenue a New York.
In fondo, ricorda Di Pasquantonio, il Made in Italy è il terzo brand al mondo secondo Google (NASDAQ:GOOGL).
(Claudia Cristoferi)