Carlo De Luca - Responsabile Asset Management, Gamma Capital Markets
Ecco perché pensiamo che lo scenario più probabile fino a fine ottobre veda dati economici deboli e inflazione in recupero. Correzione (o rotazione settoriale) nel breve hanno una probabilità molto più alta di nuovi massimi.
Come previsto, la BCE ha aumentato i tassi perché la riduzione dell’inflazione non è cosi marcata come ci si attendeva a causa dell’impatto degli elevati costi energetici sia sul paniere americano che su quello europeo, generati a loro volta dai tagli alla produzione di petrolio dei sauditi, oltre che dai consumi (non da economie in recessione) di Cina e Stati Uniti.
Le aspettative di mercato, valutate attraverso i Futures sugli Euribor, suggeriscono che l'indice Euribor dovrebbe continuare a crescere fino alla fine dell'anno, ma in maniera moderata. La BCE ha ribadito più volte che la scelta di agire sui tassi dipende dai dati. L’inflazione è in calo, ma resta su livelli elevati (ad Agosto era pari a 5,3%, superiore rispetto alle aspettative del 5,1%). Le nuove stime della BCE vedono l’inflazione oltre il 3% nel 2024, questo conferma i timori su una lotta all’ inflazione più difficile del previsto (il target del 2% è ancora lontano) e può allontanare le ipotesi di possibili tagli ai tassi di interesse.
L’altro driver principale è il PIL, rivisto al ribasso rispetto alle ultime stime. Il Pil Ue aumenterà dello 0,8% nel 2023 (dall’1% previsto nelle stime di primavera) e dell’1,4% nel 2024 (dall’1,7%). La Germania - locomotiva d’ Europa - sarà l’ unico Paese dell’Unione con un possibile rallentamento economico: -0,4% (dallo 0,2%) per il 2023 e +1,1% (dall’1,4%) per il prossimo anno. Anche questo potrebbe influenzare le decisioni future della BCE.
Da non sottovalutare è la questione geopolitica che rende il clima incerto e che continua a pesare fortemente sullo stato di salute dell’ economia europea. L’inflazione europea è effettivamente causata da motivi esogeni, che non dipendono dal lato della domanda, ma dal lato dell’ offerta. Infatti, la componente principale che incide maggiormente sull’ incremento dei prezzi (e quindi dell’ inflazione) è il costo dell’ energia, fortemente influenzato dal conflitto Russia – Ucraina.
Il quadro generale è ancora incerto, qualsiasi risvolto sul conflitto potrebbe mischiare le carte in tavola e decretare un cambiamento nella politica monetaria della BCE.
Il dato sull’inflazione americana (+0,7% mese su mese) che ad agosto ha rialzato la testa soprattutto a causa della fiammata nei prezzi, generata dal rincaro del petrolio, non si è rivelato una sorpresa. Almeno non per noi. E’ da settimane infatti che i nostri indicatori ci mostrano questa possibilità e gli elementi principali che hanno contribuito a determinarla: la Cina che è tornata a consumare (anche se al disotto del previsto), la resilienza dell’economia americana e i tagli alla produzione del petrolio da parte dell’Arabia Saudita. Il prezzo maggiorato al quale paghiamo il carburante, infatti, rientra nel novero di ciò che chiamiamo “parte non core” (leggi, volatile) dell’ inflazione (o CPI) in quanto determinata dalle cosiddette componenti non stabilizzate e il cui valore può variare in quanto non direttamente controllabile. Questa “non core inflation” è proprio ciò che fa rallentare la velocità di riduzione dell’inflazione, vera e propria bestia nera di Powell nonché pietra miliare nel determinare la fine (o meno) dell’attuale ciclo rialzista.
Secondo noi, il mercato vedrà un nuovo goldilocks non prima del primo semestre del 2024 (nella nostra visione a medio-termine, infatti, si prevede un rallentamento economico con inflazione sotto controllo, euro in ripresa sul dollaro e riduzione dei tassi), tuttavia, dubitiamo che avvenga in maniera indolore. Ecco perché – complice un mercato azionario Usa sostenuto soprattutto dai buyback miliardari delle Big Corporation che contribuiscono a gonfiare gli utili trimestrali e da questo colpo di coda dell’inflazione ancora non doma e che consente alla Fed di mantenere una politica restrittiva– riteniamo che sia difficile non assistere, nel breve, ad una presa di profitto. I mercati, che con mia grande sorpresa stanno reggendo al momento perché “vedono” ormai la fine del tunnel dei rialzi dei tassi, necessitano di una pausa o piccola rotazione. Che occorre soprattutto alle banche centrali prima di ricominciare a tagliare. Pertanto, ci attendiamo una parentesi di profit taking (guidato dai titoli della tecnologia, le megacap che hanno trascinato il mercato al rialzo a suon di buy-back miliardari). Oltretutto, la Fed, che da dodici mesi a questa parte si è posta anche l’obiettivo di monitorare l’andamento della stabilità finanziaria oltre che tenere sotto controllo l’inflazione, sta seguendo con attenzione l’andamento del mercato del lavoro Usa dove sono aumentati coloro che cercano lavoro. I risparmi post-Covid del cittadino medio americano stanno terminando e sarà proprio il job trend a determinare se l’economia si avvierà verso un rallentamento o meno. Con ciò influenzando le decisioni della Fed delle prossime due sedute.
Per illustrare agli investitori questo scenario (che prevede prima una correzione o a seguire una ripresa del mercato azionario), abbiamo ideato una matrice che immagina sia un’ipotesi a breve (due mesi) che una a medio (9 mesi) termine.
Attualmente (e fino agli inizi di novembre) le probabilità che si verifichi il secondo scenario (dati economici deboli e inflazione in recupero) sono del 60%. Pertanto, in tale contesto in cui stimiamo che la Fed mantenga il Tightening e che l’euro scenda insieme al mercato azionario, dopo aver già quasi azzerato da fine luglio la nostra esposizione all’equity, ci confermiamo compratori di titoli di credito a brevissimo termine (3 anni), oltre che di governativi (scadenza 12 mesi). Escludiamo con decisione ogni investimento in bond High Yield, nei Mercati Emergenti e nei Financials (solitamente più sensibili ad un eventuale credit crunch immobiliare oltre al fatto che scontano già un net interest income al massimo storico, considerato che siamo al picco del ciclo rialzista).
Correzione o rotazione nel breve hanno una probabilità molto piu alta di nuovi massimi, e questa nostra tesi di investimento si sta confermando.
Pur tuttavia, non ci ritiriamo totalmente ma rimaniamo alla finestra pronti a ricomprare l’azionario a prezzi a sconto (dopo che il mercato avrà stornato o avrà compiuto la famosa rotazione settoriale dalle Giant alle Large-Mid Cap) perché sappiamo che il ciclo rialzista si sta avvicinando alla conclusione. Bisogna, infatti, prestare molta attenzione a non farsi prendere di sorpresa dal settore tecnologico Usa. Nel 2022 le “Giant-cap” (che da sole fanno guadagnare o perdere l’indice NY Stock Exchange FAANG Plus) sono crollate mentre quest’anno sono salite mettendo a segno un poderoso rimbalzo derivante proprio dal precedente eccesso di ribasso.
Quanto potrà ancora durare il movimento rialzista? Conviene investire in questo momento in cui sono già a livelli così elevati? La risposta è “sì,ma..” sottopesandoli in portafoglio. Il perché è presto detto: per continuare a salire, il settore dei tecnologici (e le Borse più in generale) avrà bisogno necessariamente della partecipazione di quei titoli a minore capitalizzazione (Large e Mid-Cap) che sono i soli in grado di innescare una rotazione (inter-settoriale). In caso contrario, assisteremo ad una correzione di mercato, ovvero qualora i flussi si spostassero non sui titoli tecnologici che non hanno ancora beneficiato del rally (mancata rotazione inter-settoriale) ma sui titoli obbligazionari.
Come scritto in precedenza, non dobbiamo infatti dimenticare che le Giant cap devono gran parte del loro recente successo ai buyback e non solo al recupero da livelli bassi. Ora che il riacquisto di azioni proprie è terminato, i mercati devono tornare a volare da soli senza il sostegno dei 10 titoli a maggior capitalizzazione. Poiché non è detto che ciò avvenga, meglio investire attraverso un ETF e non sui singoli titoli, almeno per l’investitore fai-da-te. E solo per una minima percentuale di portafoglio.