Il voto europeo è solo l’ultimo capitolo di una lunga tornata elettorale globale che ha toccato India, Sud Africa, Nigeria e Brasile e che si chiuderà in America tra 17 mesi. Un vecchio mondo antico tramonta
Le lacrime di Theresa May in uscita di scena, che hanno accompagnato le ultime ore del voto europeo, sono finite su tutte le prime pagine del mondo ma non è chiaro quale sia il messaggio. Sicuramente sono lacrime di delusione per una carriera politica naufragata, che solo a gennaio del 2017, a sei mesi dalla Brexit, sembrava sfolgorante, con i sondaggi che la davano come il primo ministro conservatore più popolare dagli anni ’50. Ma forse sono anche lacrime per un mondo che se ne va. Un vecchio mondo antico dove alla fine si trova un compromesso ragionevole su qualunque cosa, dove un matrimonio fallito può sopravvivere a se stesso con una separazione in casa dettata dal buonsenso e dalla convenienza. Negli ultimi giorni non si è votato solo in Europa. Settimana scorsa il presidente uscente Narendra Mori ha stravinto le elezioni nello sterminato paese-continente dopo interminabili votazioni con un’agenda non solo pro-business e pro-mercato, ma anche dichiaratamente nazionalista nella declinazione induista. Durante la campagna elettorale il presidente del partito di Modi, Amit Shah, ha dichiarato che non sarebbe stata tollerata nessuna infiltrazione dal vicino Pakistan a maggioranza musulmana, fatta eccezione per Buddisti, Indù e Sikh. E secondo alcuni osservatori sono stati proprio i bombardamenti in territorio pakistano di fine febbraio a dare a Modi la spinta decisiva.
FERMENTI DI CAMBIAMENTO NEI GRANDI EMERGENTI
Sempre settimana scorsa si è votato in un altro grande paese emergente, il Sud Africa. Ha vinto l’African National Congress, fondato da Nelson Mandela, ma con il peggior risultato dal dopo aparthied, con i progressisti della Democratic Alliance che hanno avuto una performance disastrosa. Non così i populisti dell’Economic Freedom Fighters, che hanno raddoppiato voti e seggi pur restando il terzo partito. Andando indietro di qualche mese, a febbraio si è votato anche in Nigeria, che contende al Sud Africa il primato economico, dove si fronteggiavano due candidati praticamente equivalenti: il presidente uscente Muhammadu Buhari, e lo sfidante ed ex vice presidente Atiku Abubakar, entrambi musulmani dell’etnia Fulani nel Nord del paese, dove imperversano i terroristi di Boko Haram. Ha vinto il primo, ma dalle agende di entrambi erano assenti tutti i temi del riformismo progressista, dal cambiamento climatico all’urbanizzazione, in uno dei paesi più inquinati del mondo che si prevede raggiunga quasi il mezzo miliardo di popolazione per metà del secolo. Alla lista delle tornate elettorali globali recenti possiamo aggiungere l’arrivo lo scorso dicembre alla presidenza del Brasile, altro gigante emergente, di Jair Bolsonaro, vincitore con un programma che sembra copiato da Donald Trump...
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge