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Aspettando la Fed... e il Documento di Economia e Finanza (DEF)

Pubblicato 26.09.2018, 09:20
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Mercoledì 26 Settembre


 Mercati relativamente tranquilli in attesa della Federal Reserve e del DEF italiano. L’eccezione comprensibile è la volatilità sugli asset di casa nostra, maluccio lunedì, molto meglio ieri, dove il rumore giornalistico all’avvicinarsi della scadenza di domani è chiaramente aumentato. Oggi ci occupiamo anche di politica tedesca, ONU (Trump all’ONU) e azionario cinese.

 FOMC. Non sarà un comitato da attendere con particolare trepidazione. Il rialzo si 25bp che porterà la finestra dei Fed Funds a 2.00%-2.25% è praticamente assicurato già da qualche settimana. Con una fase di crescita americana che si può definire più che robusta (dopo il Q2 a 4.2% anche il Q3 pare destinato a segnare un’espansione superiore al 3%), qualche, pur timido, accenno di inflazione salariale e un mercato azionario ai massimi, non si vedono motivi per cui Jay Powell debba sconfessare il mantra di normalizzazione graduale che gli esponenti della Fed non cessano di propinarci ad ogni occasione. Specialmente in una fase storica, che dura ormai da quasi due decenni (gestione Bernanke-Yellen-Powell ma anche la parte finale dell’era Greenspan), in cui è procedura assodata che la Federal Reserve non debba in alcun modo sorprendere aspettative adeguatamente plasmate in anticipo. Una normalizzazione graduale che analisti e investitori hanno ormai facilmente identificato con il ritmo costante di un rialzo a trimestre, in occasione dei 4 FOMC annuali (su 8) che forniscono il pacchetto completo, ovvero accompagnano proiezioni economiche e la conferenza stampa alla ben più storica paginetta di comunicato. È evidente che ad ogni rialzo si avvicina tautologicamente il momento in cui la banca centrale dovrà fermarsi. Un livello che dista ancora, a guardare gli ultimi DOTs (le proiezioni dei membri del FOMC) 5-6 rialzi, compreso quello di oggi, qualcosa in meno (circa 4) se guardiamo il tasso considerato di equilibrio di lungo periodo. Il mercato è come sempre meno sanguigno, come è in qualche modo fisiologico dovendo considerare una media ponderata anche di scenari che includono un’eventuale recessione che il FOMC non può inserire nella sua previsione mediana, e si spinge a pronosticare tra i 3 e i 4 rialzi da qui a fine 2019. Già da oggi si cercheranno quindi indizi su quanto lontano la Fed si consideri dal picco del ciclo di rialzi, visto che la prassi è quella di segnalare future intenzioni con il dovuto anticipo, pur naturalmente lasciandosi aperta la necessaria opzionalità. Oltre ai celebri DOTs, in qualche modo depotenziati negli ultimi mesi nelle parole di Powell, sarà la presenza o meno dell’aggettivo “accomodante” nel comunicato il punto centrale di interesse da questo punto di vista. Una rimozione dell’indicazione che “la stance of monetary policy remains accomodative”, pur improbabile, segnalerebbe che il comitato sta iniziando a ragionare se sia il caso di fermarsi o almeno rallentare il ritmo dei rialzi.

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Come si vede dal sondaggio condotto da Brent Donnelly di HSBC, quella che si aspetta questo importante ritocco semantico al comuniucato già in questa occasione è una netta minoranza. Una data ben più adatta è considerata dicembre, quando dovrebbe arrivare un altro al momento molto probabile ma non del tutto scontato (80% circa).

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Proiezioni FOMC: i DOTs pubblicati in giugno

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 Italia: DEF. Ormai ci siamo. Dopo tante indiscrezioni giornalistiche entro domani sera arriverà una prima indicazione ufficiale di quello che è considerato da tutti la variabile più importante in grado di condizionare l’andamento la price-action degli asset italiani (forse anche europei) nelle prossime settimane/mesi. Ovvero la postura fiscale del governo di casa nostra. L’aggiornamento del DEF (Documento di Economia e Finanza) ci dirà che obiettivo di deficit l’esecutivo intende darsi per il 2019 (e anche per i due anni successivi). Sarà un indicazione sintetica probabilmente priva di molti dettagli che arriveranno con il vero e proprio draft della legge di bilancio da presentare a Bruxelles entro il 15 ottobre 2018. Elementi importanti come la reazione dell’Europa alle nostre intenzioni e la disponibilità del Parlamento italiano a votare i provvedimenti verranno quindi diluiti nei prossimi 3 mesi, come anche la monitorata reazione delle agenzie di rating (Moody’s è in attesa) al piano fiscale. Intanto però questo ‘numerino’ attirerà indubbia attenzione, analisi, narrativa e commento. È facile prevedere che si andrà a cadere tra l’1.6% (livello pur stiracchiato di conformità alle regole europee) e il 2.3% (asticella oltre la qualche il rapporto/GDP non verrà considerato ‘stabilizzato’). Una forchetta comunque ampia, in quel 0.7% ballano infatti quasi 12 bio. Andando oltre la sintesi del numero, la sua composizione e altri dettagli non saranno irrilevanti, a cominciare dal realismo delle previsioni macro e dalla natura ricorrente o one-off di entrate e uscite. Il mercato semplificando continua a reagire ai titoli e alla potente sintesi fornita dall’obiettivo di deficit. Ieri un articolo de La Stampa, con il suo 1.9% in bella mostra, ha innescato una buona giornata per gli asset italici: 10bp di restringimento dello spread e +1.5% di Piazza Affari al cospetto di mercati globali poco mossi. Come sempre il diavolo sarà comunque nei dettagli. Ieri un gestore obbligazionario di lunghissimo corso, particolarmente esperto di titoli governativi italiani, mi faceva notare come lui considerasse come un elemento positivo non tanto il citato 1.9% su La Stampa ma il dettaglio e la concretezza fornita in un articolo del Sole 24 dove si indicava chiaramente che 4-5 bio di copertura potrebbero venire recuperati da una riduzione (a pioggia) dell’aliquota per le detrazioni (da 19% a 15%) e da una sua eliminazione totale per i redditi (medio) alti. Al di là delle considerazioni puramente politiche è un primo segnale che al ministero dell’economia qualche soluzione in sintonia con le forze di governo, ipoteticamente accettabile da Bruxelles e dai nostri deputati e senatori, si sta iniziando a trovare. Un terreno che resta molto difficile su cui scopriremo di più nei prossimi giorni.

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Scenari di deficit. Realisticamente ‘balleremo’ tra i casi C, D, E nella classificazione di Deutsche Bank…

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… se dovessimo irritare seriamente l’Europa… (serious non-compliance)…

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 Politica tedesca. Anche per variare un po’ i soliti temi (geo)politici (Trump, Trade War, politica italiana, Brexit), ci occupiamo di quanto accaduto ieri al Bundstag. Volker Kauder, un alleato di lungo corso di Angela Merkel, ha perso inaspettatamente la votazione per essere confermato capogruppo della CDU, un ruolo che ha ricoperto per ben 13 anni. Il ballottaggio è stato vinto (125 a 112) da Ralph Brinkhaus, la cui candidatura era stata annunciata solo poche settimane fa. Questo rappresenta un indubbio indebolimento per la Merkel e mostra presumibilmnete una crescente insoddisfazione all’interno del suo partito per le sue politiche. Non si tratta di un evento traumatico nell’immediato. In passato Brinkhaus non si è mai distinto per critiche esplicite al suo leader di partito. È comunque un duro colpo che priva Angela di un collaboratore/alleato che è stato per anni molto efficace anche nel gestire la relazione con l’SPD, attuale compagno di viaggio della CDU nell’attuale Grosse Koalition. Più in generale dà ulteriore supporto agli scenari che non vedono la Merkel resistere insella a governo e partito sino alla fine del mandato da poco iniziato.

 ONU e Trump. È in corso l’annuale assemblea generale delle Nazioni Unite. Il messaggio di Donald Trump resta immutato (e chi si aspettava diversamente?), aperte critiche alla Cina e una chiara preferenza per il ‘patriottismo’ rispetto al ‘globalismo’. Per aumentare il carico è arrivato anche un affondo, non inatteso, all’OPEC, accusato di "derubare il resto del mondo". Oggi qualche headline interessante potrebbe arrivare dagli incontri bilaterali in agenda tra il Presidente degli Stati Uniti e il PM israeliano Netanyahu, il PM giapponese Abe e il PM UK Theresa_May. Infine, è prevista una conferenza stampa di Trump alle 11pm (CET). Non è che vorrà criticare apertamente l’operato di Powell (con il rialzo in arrivo)?

 Quella che si sta concludendo non è stata la classica sessione asiatica pre-FOMC, fatta di molta attesa e poca azione (anche se l’attesa, come spiegato in precedenza, non è partiucolarmente spasmodica). Un bel po’ di movimento (positivo) è stato prodotto dalla notizia che MSCI sta considerando di incrementare significativamente il peso delle A shares (azionario cinese quotato onshore) nei suoi indici globali a partire dal 2019, rendendo idonee all’inclusione anche i titoli quotati sull’exchange Chinext. Shanghai Comp +1.3%, Hang Seng +1.7%. Bene anche Tokio con il Nikkei 225 che è tornato a un passo dai massimi di gennaio (24030 vs 24130) che rappresentano il livello più alto dal 1991 (!).

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Buona giornata.

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Alessandro Balsotti, Strategist e Gestore del JCI FX Macro Fund

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