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Il dibattito sul 'buy the dip'

Pubblicato 15.10.2018, 09:49
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Venerdì 12 Ottobre

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 La celebre citazione può sintetizzare quanto accaduto settimana scorsa sui mercati. Gli investitori si sono buscati un improvviso cazzotto in faccia, inaspettato quantomeno nella sua violenza, rappresentato dal quel circa -4% che Wall Street ha dovuto registrare nella giornata di mercoledì e che rappresenta, come ordine di grandezza, anche il risultato settimanale di molte piazze del pianeta (amplificato in Asia). Nel momento più difficile è apparsa significativa la sotto-performance del settore tecnologico anche se poi il risultato settimanale è stato in linea con l’S&P 500 grazie a un discreto rimbalzo nella parte finale della settimana. Il maggior disagio delle le small-cap è rimasto invece visibile: l’indice Russell 2000 ha lasciato sul campo circa il 5.5%. In ogni caso, allargando l’orizzonte temporale dell’analisi, queste locomotive del bull market (tech e small-cap) appaiono in effetti affaticate. L’S&P 500 ha perso meno del 6% dal recente massimo del 3 di ottobre mentre il Nasdaq Composite si è allontanato di quasi l’8% dai massimi toccati in tempi più distanti (31 agosto). Il Russell 2000 ha addirittura un pesante 10.9% per ritornare ai livelli raggiunti, anche nel suo caso, a fine agosto.

 Paragoni: febbraio vs ottobre 2018. Abbiamo detto settimana scorsa come la violenta discesa degli ultimi giorni non abbia una paternità chiara (il che rende la correzione da certi punto di vista più difficile da ‘contrastare’) ma che, se proprio dobbiamo puntare il dito, l’attuale fase di sostenuto rialzo dei tassi US, accompagnato da esternazioni della Fed percepite come hawkish dal mercato, può rappresentare la prima indiziata. È interessante notare come l’aumento dei rendimenti che aveva preceduto il crollo di febbraio sia stato assolutamente parallelo con quello che gli investitori hanno dovuto somatizzare recentemente: nei 22 giorni lavorativi che ci hanno portato al 3 ottobre il rendimento del Treasury (10Y) è salito di 24bp, esattamente quanto successo dal 31 dicembre 2017 al 1 febbraio 2018. La differenza risiede nel livello più elevato da cui siamo partiti questa volta con il movimento che ha portato in un range nuovo e inesplorato da anni (10Y sopra 3.12%, 30Y sopra 3.25%), il che rende presumibilmente le code della gaussiana delle aspettative ben più ‘grasse’.

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 Ottobre peggio di febbraio. Da un punto di vista fondamentale l’azionario statunitense con i multipli medi a 16x accoppiati all’attuale livello dei rendimenti è meno a buon mercato di quanto non fosse a febbraio. Inoltre le mani ‘discrezionali’, siano essi portafogli bilanciati in grado variare l’asset allocation o fondi azionari con mandato attivo (solitamente più inclini a quelle strategie ‘value’ da tempo in difficoltà, ancora di più nel 2018) sembrano avere meno munizioni per reagire alla discesa aumentando il rischio nella parte finale di un anno che ha regalato ben poche soddisfazioni al gestore attivo.

 Ottobre meglio di febbraio. D’altro canto la leva e il posizionamento delle strategie sistematiche (CTAs, opzioni) sembra essere meno significativa rispetto a febbraio e le vendite automatiche innescate da un episodio di forte calo dei corsi dovrebbero essere inferiori.

 Micro e macro danno riferimenti positivi. In linea di massima chi vede nella correzione una buona occasione di acquisto e mantiene un punto di vista costruttivo ha nello scenario macro e micro dei punti di riferimento positivi:

 la crescita US si mantiene robusta e apparentemente in grado di far fronte a disagi macro-economici che man mano emergono altrove;

 gli utili (e i ricavi) aziendali continuano a battere le stime;

 le multinazionali sembrano orientate ad utilizzare i maggiori utili (e il rimpatrio di profitti accumulati all’estero) non solo per aumentare la distribuzione di dividendi e l’acquisto di azioni proprie ma anche in attività in grado di migliorare il return-on-equity futuro (opex, capex e M&A).

 La liquidità in diminuzione è il vero punto debole. Chi è più pessimista e vede nella recente price-action solo l’inizio di qualcosa di più sinistro tende invece a sottolineare la fase di fine-ciclo in cui siamo e soprattutto la progressiva diminuzione di liquidità disponibile che lentamente ma inesorabilmente si sta facendo sentire a causa del Quatitative Tightening della Fed (a partire da inizio ottobre il target di mancati re-investimenti da parte della banca centrale è passato da 40 a 50bio/mese) e della maggiore offerta di Treasury innescata dalla necessità di finanziare la spinta fiscale voluta da Trump.

 Le trimestrali in arrivo forniranno indubbiamente elementi utili a orientare il dibattito tra vedere il bicchiere mezzo pieno (micro e macro) o mezzo vuoto (liquidità) dal momento che, se siamo a fine ciclo (o verso fine ciclo) per quanto riguarda lo scenario macro complessivo, per chi si aspetta ancora una prolungata fase di rialzi azionari la teoria più accreditata a sostegno è data dall’eventualità di essere solo a metà ciclo per quanto riguarda gli utili aziendali che avrebbero ancora possibilità di crescere nel 2019 e oltre. Io rimango dell’idea che comperare questo ‘dip’ sia prematuro, almeno fino a fine mese. La fase di picco dell’embargo che impedisce a chi va verso la pubblicazione dei risultati di acquistare azioni proprie durerà infatti ancora un paio di settimane. La mancanza di questo supporto è infatti un importante aspetto di vulnerabilità per il mercato. La price-action intanto non è stata molto rassicurante. Un CPI benigno (giovedì pomeriggio), l’apertura a sedersi nuovamente al tavolo del negoziato con la Cina (giovedì sera, un indizio di come questa amministrazione sia ‘sensibile’ con le elezioni alle porte, all’andamento di Wall Street), i buoni risultati di JPM e Citibank (venerdì) avrebbero potuto fornire occasioni per un rimbalzo ben più convincente. All’apparenza i recuperi sono stati invece sfruttati per alleggerire ancora di più i portafogli.
 Brexit: nuova battuta di arresto. Avrebbe dovuto essere una settimana importante, in senso positivo, con i team di negoziatori guidati da Barnier (EU) e Raab (UK) in grado di precisare i termini dell’accordo di divorzio da poter far sigillare al Consiglio Europeo di metà settimana. L’enigma della questione irlandese, ormai da tempo l’unico vero ostacolo che impedisce a Theresa May di chiudere anche solo la prima tappa di questo complicatissimo percorso, resta invece insoluto (una negoziazione che è stata paragonata a una scala di Escher (vedi figura). Non si riesce, al momento, a trovare una soluzione condivisa sulla famosa ‘backstop’, ovvero la situazione definita a priori di ‘ricaduta’ nel caso non si trovasse un accordo su come gestire la frontiera tra Ulster e Irlanda quando si andrà a declinare nel dettaglio l’assetto futuro durante il periodo transitorio (tra aprile 2019 e dicembre 2020). Si è lavorato ad un ulteriore periodo ad-interim (successivo al 2020) in cui mantenere l’unione doganale per la UK ma, senza definire una scadenza precisa (per l’Europa non ci sono i presupposti), Theresa May verrebbe ulteriormente indebolita dalla ribellione a destra. Un periodo indefinito di permanenza nell’Unione le aizzerebbe contro con più veemenza l’ostilità degli hard-Brexiteers all’interno del suo stesso partito. Secondo le fonti anonime (che riferiscono da Bruxelles) il motivo per cui ieri le trattative sono stallate è appunto l’impossibilità da parte del governo inglese di avvicinarsi ulteriormente alla proposta europea per motivazioni di politica interna. Presumibilmente la May dovrà mostrare disponibilità a lottare fino all’ultimo per avere qualche possibilità di trovare sufficiente supporto nella ratifica parlamentare necessaria a valle di un eventuale accordo. Il che rende il percorso ancora più irto di difficoltà. Intanto i negoziati sono sospesi fino a mercoledì quando si aprirà il Consiglio Europeo (con la consueta cena a cui sarà presente anche il PM inglese, membro uscente dell’EU) che però non avrà alle spalle quella preparazione negoziale, da finalizzare oggi, che permetta al summit di chiudere il capitolo ‘accordo di uscita’. La sterlina ha perso circa 0.4% in apertura, dopo che nella parte finale di settimana scorsa aveva già iniziato ad invertire i robusti guadagni dell’ultimo mese.

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La ‘paradossale’ scala di Escher… a cui qualcuno ha paragonato la negoziazione della Brexit…

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 Trump e l’Arabia Saudita. L’oscura vicenda di Jamal Kashoggi, giornalista del Washigton Post critico del regime saudita sta ricevendo qualche attenzione anche dai mercati finanziari. Kashoggi è sparito da più di una settimana dopo essere entrato nel consolato saudita di Istanbul per ritirare i documenti divorzio necessari a poter sposare in seconde nozze la sua attuale compagna turca. La pista più accreditata porta ad un rapimento, con esecuzione all’interno del consolato, eseguito dalle forze speciali saudite per un’eliminazione di un ‘megafono’ scomodo, ordinato da Mohammed bin-Salman, il sempre più autoritario Principe Ereditario di Riyadh. La dura reazione di Trump a questa ipotesi ha acceso la miccia. L’Arabia Saudita è il più stretto alleato americano nello scacchiere medio-orientale ma l’equilibrio potrebbe non essere per nulla stabile (e quando mai lo sono gli equilibri in quella rovente arena geopolitica). Il Presidente ha promesso, nel caso venisse confermata la responsabilità del regime saudita nella scomparsa del giornalista, che verranno implementate “misure molto, molto potenti, molto, molto forti” in risposta a un simile esecrabile delitto. Durante il fine settimana l’indice più rappresentativo della borsa di Riyadh, il Tadawul All Share Index, ha perso 3.5% dopo aver toccato il -7% intra-day. Anche il petrolio ha rialzato la testa (+2% dai minimi di venerdì) dopo una decade di correzione che aveva portato il WTI da quota 77 (sfiorata) a poco sopra 70.

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 Nella settimana che ci aspetta la (geo)politica rimarrà centrale: Brexit, Italia e Washington, nella marcia di avvicinamento alle elezioni di metà mandato, sono i focolai consueti, a cui si aggiungono ora i citati sviluppi medio-orientali. Sul fronte macro il piatto forte arriverà già oggi con le vendite al dettaglio americane. Poi l’agenda prevede molto CPI, da varie aree del pianeta (Nuova Zelanda, Cina, UK, Eurozona, Canada), dati sull’immobiliare e di attività manifatturiera (Philly Fed) in US, le minute della Fed e molta Cina con gli aggregati monetari (oggi) e il quadro mensile (vendite al dettaglio, produzione industriale e investimenti fissi) in arrivo venerdì. Il ‘micro’ alza il volume con le trimestrali che aprono la loro prima settimana di piena attività negli Stati Uniti. Non saranno pochi i nomi rilevanti chiamati a riportare: I finanziari faranno la parte del leone completando il quadro iniziato già venerdì scorso (Bank of America, Goldman Sachs, Morgan Stanley (NYSE:MS), BlackRock, American Express, Blackstone Group) ma anche altri settori accenderanno i motori (Johnson & Johnson (NYSE:JNJ), Netflix, IBM, SAP, Procter & Gamble, Honeywell. E non solo a Wall Street: Infosys (India, software), Novartis (Svizzera, farmaceutica), TSMC (Taiwan, componentistica iPhone). Buona settimana.

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