S&P 500 e Nasdaq in Correzione: Normale Oscillazione o Segnale di Allarme?

Pubblicato 14.01.2025, 09:59
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Il futuro è come un vento che arriva da lontano, incerto nella direzione e nel passo. L’uomo prova a comprenderlo, a costruire mappe e bussole per anticiparlo, ma basta un cambio d’aria – un dato fuori posto, un sussurro trasformato in grido – per sconvolgere gli equilibri. I mercati, poi, amplificano tutto: le loro dinamiche intrecciano la razionalità delle cifre con l’istinto spesso cieco delle emozioni.

Questi ultimi tredici giorni ci hanno raccontato esattamente questo, un mosaico di tensioni e contrasti. Settimane brevi, ma dense. L’inflazione, che continua a mordere come un fuoco lento, i dati sull’occupazione americana che agitano gli animi e quelle preoccupazioni – ormai non più sussurri – della BCE sulle valutazioni azionarie oltreoceano, il tutto mentre la Cina rallenta con l’incedere incerto di un gigante stanco.

E in tutto questo, due protagonisti si sono imposti con forza: i rendimenti dei decennali occidentali in impennata, un segnale che pare un grido, e la forza di un dollaro che non smette di dettare il ritmo. Sei settimane consecutive di indebolimento dell’euro sul dollaro, una serie che non si assisteva dal 2023.
Ma, a ben vedere, la narrativa non è nuova. Anche l’anno scorso i mercati azionari avevano aperto sotto il segno dell’incertezza, con i tagli ai tassi americani che si ridimensionavano di mese in mese. Dalla previsione di sei tagli da 25 punti base, si è arrivati a un solo taglio fino ad aprile, prima che la realtà riportasse nuove aspettative, chiudendo il cerchio con 100 punti base di riduzioni a dicembre.



L’inflazione, però, resta l’ospite scomodo: in America e in Europa, il suo persistente soffio alimenta dubbi sul futuro delle banche centrali. Negli Stati Uniti, i rendimenti dei decennali sono saliti dal 3,648% di settembre al 4,759% attuale, un balzo di 111,1 punti base, spinto dalle preoccupazioni per un deficit elevato e l’ombra di un’inflazione che non si placa. E se le principali cause del 2022 – catene di approvvigionamento interrotte e stimoli fiscali massicci – sono ormai alle spalle, oggi l’inflazione si mostra “appiccicosa”, sostenuta soprattutto dai costi abitativi, che costituiscono un terzo dell’indice CPI.

Escludendo l’abitazione, però, l’inflazione è già tornata ai livelli pre-pandemia. Certo, le pressioni non sono scomparse: i recenti dati ISM e le preoccupazioni tariffarie con Trump dimostrano che le sfide non mancano. Ma oggi i timori si concentrano su tassi alti a lungo termine, più che su nuovi rialzi immediati.


E proprio questa pressione sui rendimenti obbligazionari sta generando un’anomalia che non può essere ignorata: il premio per il rischio azionario – l’equity risk premium – è scivolato in territorio negativo. Questo accade quando il rendimento da utili, calcolato come l’inverso del rapporto prezzo/utili forward (sullo SPY), si colloca al di sotto del rendimento del Treasury decennale. Ad oggi, il rendimento da utili è intorno al 4,5%, mentre il Treasury decennale è salito al 4,76%. In teoria, le azioni dovrebbero offrire un rendimento maggiore rispetto ai Treasury, compensando il rischio maggiore associato agli investimenti azionari. Ma questa dinamica si è invertita. Questo non significa che i mercati azionari siano condannati: storicamente, tali anomalie tendono a rientrare nel tempo. Tuttavia, è un chiaro segnale per gli investitori: le valutazioni azionarie richiedono attenzione, forse più dei tassi stessi. Perché, in un contesto di tassi elevati e rendimenti obbligazionari competitivi, la selettività e la qualità degli investimenti diventano imperativi. Nel lungo periodo, sarà la solidità dei fondamentali a fare la differenza, non il rumore di fondo delle oscillazioni di breve termine.



Mentre i rendimenti più alti hanno imposto una pressione al ribasso sui mercati azionari, è importante sottolineare che l’S&P 500 ha perso circa il 4% dai suoi massimi storici, mentre il Nasdaq ha registrato un calo del 5%. Movimenti di questa entità, con correzioni comprese tra il 5% e il 15%, rientrano nella norma in un dato anno. Tuttavia, non ci aspettiamo che queste flessioni evolvano in mercati ribassisti gravi o prolungati, considerando il contesto economico solido e il buon andamento degli utili che continuano a sostenere le fondamenta del mercato.
I dati sull’inflazione americana, attesi per domani, e l’avvio della stagione degli utili si preannunciano come i prossimi snodi cruciali per i mercati. Entrambi potrebbero delineare nuove prospettive sull’andamento economico e orientare le aspettative degli investitori. Da un lato, l’inflazione fornirà un'indicazione sul futuro delle politiche monetarie, mentre i risultati aziendali riveleranno se la resilienza degli utili può continuare a sostenere le valutazioni azionarie, soprattutto in un contesto di tassi elevati.

Il settore finanziario sarà sotto i riflettori del mercato questa settimana: l’80% delle società dell’S&P 500 che comunicheranno gli utili per il quarto trimestre appartiene proprio a questo comparto. Tra i nomi più attesi troviamo Bank of America (NYSE:BAC), Citigroup, Goldman Sachs (NYSE:GS), JPMorgan Chase, Morgan Stanley (NYSE:MS) e Wells Fargo (NYSE:WFC). Le previsioni sono ottimistiche: si stima che il settore finanziario registrerà la crescita degli utili anno su anno più alta tra tutti gli undici comparti dell’indice, con un incremento impressionante del 39,5% nel quarto trimestre.



Ma se guardiamo indietro, il cammino non è stato lineare. Doveva essere un’epoca d’oro per il settore finanziario dopo l’elezione di Donald Trump nel novembre 2024, ma le aspettative si sono scontrate con una realtà più complessa. L’ETF XLF, che traccia il settore, segna un modesto +1,3% dalla vittoria, ben lontano dai picchi del +10%. Ancora più critica la situazione per le banche regionali: l’ETF KRE è sceso sotto i livelli pre-elettorali (-1,54%) e ha accumulato sette settimane consecutive di perdite, una sequenza che non si vedeva nemmeno nei momenti più difficili della crisi di marzo 2023, segnata dal crollo della Silicon Valley Bank. Per trovare un simile calo, bisogna risalire fino all’agosto del 2015.
Nonostante questo, il settore non manca di segnali di ripresa. L’impressionante crescita del 39,5% degli utili prevista per il Q4 è trainata principalmente dal comparto bancario, che si stima crescerà del 187% anno su anno. Questo risultato è favorito dai confronti con il 2023, un anno in cui spese straordinarie come i contributi FDIC hanno ridotto i margini. Nel 2024, i margini di profitto netto dovrebbero raggiungere il 17,7%, rispetto al 13,4% dello stesso periodo dell’anno precedente, rappresentando il miglioramento più significativo tra tutti i settori.

Il contesto generale, inoltre, presenta elementi di forza. Un ambiente regolamentare più disteso, una curva dei rendimenti più inclinata e la resilienza dell’economia americana forniscono basi solide. A questi si aggiungono i benefici di un dollaro forte nei mercati internazionali e le opportunità offerte dal settore M&A. Tuttavia, non mancano le incognite: l’aumento dei rendimenti sui decennali ha pesato sui valori contabili, colpendo il settore dei mutui e complicando il rifinanziamento dei prestiti immobiliari commerciali in scadenza.
Anche sul fronte delle analisi, ci sono segnali di fiducia. HSBC (LON:HSBA) ha recentemente alzato il rating di BofA a buy, sottolineando il contesto favorevole dei tassi, le opportunità nell’investment banking e una regolamentazione più morbida. Allo stesso modo, Barclays (LON:BARC) ha portato Citi a overweight, prevedendo un’accelerazione della crescita degli utili. Tra le migliori scelte di Wolf Research per il 2025 spiccano Bank of America e Wells Fargo, sostenute da solidi venti di coda per i centri monetari.

Gabriel Debach
eToro Italian Market Analyst

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