Venerdì 21 Settembre
Siamo in una fase movimentata, anche dal consueto affollamento di headlines ‘politiche’ di varia natura (Italia, Brexit, Trade War), in cui una price-action non banale ci sta presentando evoluzioni di difficile interpretazione. L’azionario sta mostrando un’inattesa (alla luce dell’ultima tornata di dazi annunciati da Trump) forza, peraltro non più limitata a Wall Street. I rendimenti US continuano a salire anche quando le curve europee, è il caso di ieri, restano ostaggio delle evoluzioni politiche del Vecchio Continente, facendo aumentare i differenziali di rendimento tra le due sponde dell’Atlantico. Il dollaro, dal canto suo, sembra essere tornato in una fase di insensibilità ai differenziali di tasso mostrando una significativa debolezza che sta concedendo a molte valute emergenti una finestra di visibile recupero.
La forza dell’azionario. Ieri Wall Street, dopo una giornata di robusti rialzi (S&P 500 +0.8%, Nasdaq +1.0%), ci ha regalato chiusure record per S&P 500 (2935 vs 2931, superati i livelli di fine agosto) e Dow Jones (che ancora non era riuscito a ritoccare i massimi di gennaio), mentre la sotto-performance emersa recentemente nel settore tech e delle mid-cap ha lasciato traccia nella (modesta, un centinaio di punti nel caso del Nasdaq Composite) distanza che ancora separa Nasdaq e Russell 2000 dai loro massimi all-time (29 agosto). La forza del mercato è stata in qualche modo sottolineata nella quasi prepotente contro-rotazione in uscita dai settori più difensivi: ieri sono stati real estate e utilities gli unici due (su 11) settori dell’S&P 500 a chiudere in rosso. Il rimbalzo degli indici asiatici nelle ultime sessioni (continuato in quella che si sta concludendo) ha lanciato la volata a questa fase di rialzo azionario globale a cui anche l’Europa sta partecipando (Euro Stoxx +1.0%, la moderata sotto-performance italiana, FTSE MIB +0.5%, è dovuta a qualche tensione politica di cui parliamo più avanti). La correzione che ritenevo possibile nel mese di settembre sembrerebbe sempre più improbabile mentre la finestra di embargo dei buy-backs, che rende il mercato strutturalmente più fragile, inizierà a chiudersi tra 2-3 settimane man mano che arriveranno le prime trimestrali. La composta reazione cinese alla recente escalation tariffaria americana, le speranze che un accordo NAFTA venga raggiunto (mostrando che il protezionismo commerciale è un problema sempre più isolato al rapporto US-Cina), qualche progresso (non lineare come si è visto ieri) verso il raggiungimento di un accordo sulla Brexit, la stabilizzazione del mercato governativo italiano, il tutto al cospetto di una crescita globale che continua a mostrarsi tra il discreto e il robusto, forniscono al momento una solida narrativa ai compratori di equity.
La debolezza del dollaro. Anche se ormai da qualche tempo sostengo che ci sia ben poco valore a comperare dollaro ai livelli raggiunti durante l’estate e che l’evoluzione futura possa essere con maggiore probabilità quella di un rinnovato indebolimento USD (come nel 2017), non trovo facilissimo spiegare questa specifica fase di vendite che sta colpendo il biglietto verde. Riassumo le cause per cui ritengo che il dollaro possa nei prossimi mesi e trimestri dover fare i conti con la continuazione di un ciclo di indebolimento iniziata quasi due anni fa sono: a) un presidente ossessionato dai deficit commerciali e che necessariamente vede una valuta debole come arma necessaria per correggere la situazione (con il corollario dei tentativi di ingerenza nella politica monetaria); b) rischi di un peggioramento nello status di valuta di riserva mondiale dovuti sia alla volontà stessa di maggiore isolazionismo dell’attuale amministrazione sia ad un evidente peggioramento delle dinamiche fiscali; c) il rischio che la fase ciclica di divergenza tra la performance economica US e quella del resto del mondo stia per invertirsi (così come la narrativa che le trade war sono facili da vincere e che i danni economici colpiranno praticamente solo le altre nazioni). In questi giorni nessuno di questi temi, che per me rimangono validi, ha ricevuto particolare attenzione dagli analisti o supporto dalle evoluzioni in atto. Fornisco alcuni spunti/ipotesi alternative e/o complementari:
Nella catena delle correlazioni sono, in questa fase, i risky-asset a guidare con i mercati azionari che supportano rendimenti più elevati e al tempo stesso forniscono un contesto di propensione al rischio favorevole al recupero delle valute emergenti (discesa di USD/EMFX) che tracima in una più generale debolezza del dollaro. Secondo Alan Ruskin di Deutsche Bank (DE:DBKGn) questa situazione potrebbe continuare se i tassi US non rompono con decisione i massimi dell’anno a 3.12% (10Y). Una pressione al rialzo più significativa sulla curva americana potrebbe invece innescare nuove vendite su azionario e mercati emergenti (modificando/invertendo le correlazioni).
Una notizia ieri molto commentata (Bloomberg) è stata quella secondo cui le autorità cinesi starebbero pianificando un taglio dei dazi per tutti i partner commerciali, con l’ovvia eccezione degli Stati Uniti, in arrivo già ad ottobre. Oltre ad aver contribuito al tono positivo dei mercati, questa dinamica rappresenterebbe un evidente fattore positivo per la crescita non-US e potrebbe aver contribuito alle vendite di dollari o alla riduzione di posizioni pro-dollaro che proprio nella miglior performance relativa dell’economia americana hanno la loro ragione d’essere. E’ probabile che la trade war Cina-US faccia ridurre la torta del commercio globale ma con gli incentivi giusti (abbassamento delle tariffe che la Cina impone al Resto del Mondo) la fetta non-US potrebbe in realtà aumentare e rappresentare una spinta alla convergenza dei livelli di crescita tra US e altre aree geografiche (questo meccanismo rientra in realtà nella categoria c) delle mie cause prospettiche di indebolimento del dollaro).
Fonte: Deutsche Bank. Effetti secondari della trade war Cina-US (e della eventuale maggiore ‘apertura’ cinese vs il Resto del Mondo)…
Sulla seguente notizia (https://www.cnbc.com/2018/09/20/jay-powell-reportedly-ramps-up-meetings-with-lawmakers-as-he-seeks-to-protect-feds-independence.html) non ho visto molto focus ma il tema potrebbe tornare ad averne in un futuro non troppo lontano. Nei primi 6 mesi da governatore Jay Powell ha avuto ben 48 incontri/chiamate con deputati e senatori (27 repubblicani e 21 democratici). Nello stesso periodo Janet Yellen ne aveva avuti solo 17 (13 democratici e 4 repubblicani). È presumibile che la Fed non voglia farsi trovare impreparata di fronte agli attacchi e le pressioni che sono già arrivati in un paio di occasioni dalla Casa Bianca e che stia alimentando un’inusuale attività di pubbliche relazioni e lobbying con il Congresso. Anche la banca centrale si attende quindi che Donald Trump torni alla carica.
… situazione molto simile (e speculare) nell’indice trade-weighted proposto da Bloomberg…
Brexit. Nonostante i Treasury siano rimasti sotto pressione (rendimento a 10Y è a 3.06%, dopo aver toccata in massimo intraday a 3.09% ieri, non lontano dai massimi del ciclo a 3.13% visti a maggio), l’obbligazionario europeo ha goduto ieri di un supporto di natura ‘politica’. Il summit informale (Salisburgo) tra I capi di stato europei ha portato qualche commento negative sull’evoluzione della saga Brexit e un ridimensionamento delle più ottimistiche aspettative che negli ultimi giorni avevano fatto sperare che la strada per un accordo di uscita e una (fumosa) dichiarazione di intento politico sull’assetto futuro fosse abbastanza spianata. Un summit straordinario per novembre è ora ufficialmente in agenda ma Donald Tusk ha voluto precisare che il vero momento della verità sarà il summit regolare di ottobre e che, se non ci saranno sostanziali progressi per allora, l’extra-summit di novembre non avrà luogo, alzando la pressione per risultati in tempi brevi. Anche altri commenti di alto livello contribuiscono a fornire un quadro, non certamente compromesso, ma che resta comunque complicato. Merkel: UK e EU hanno bisogno ancora di fare “progressi sostanziali” in ottobre; Tusk: molti elementi chiave del piano di Chequers (la proposta ufficiale UK) non funzionano; Varadkar (PM irlandese): “non c’è stato nessun progresso nella negoziazioni da marzo ad oggi”. L’ostacolo principale rimane appunto la questione della frontiera irlandese. Il nodo più complicato resta lo scontro tra la ricerca di una soluzione ad-hoc (proposta EU) per rendere più permeabile possibile il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord e la volontà UK di accordarsi su una soluzione che valga per tutto il Regno Unito (e non solo per l’Ulster). I toni meno distesi hanno contributo a fornire supporto a Bund e Gilt (nonostante un altro dato macro UK, le vendite al dettaglio, superiore alle attese).
UK: un Parlamento frammentato….
Italia. Altri acquisti di governativi tedeschi sono arrivati a valle dell’intervista che il leader del M5S Di Maio ha rilasciato a Radio 24 nel primo pomeriggio. Il leader pentastellato ha ribadito che un allargamento del deficit sarebbe accettabile dal momento che la priorità del governo è quella di migliorare le condizioni di vita degli italiani e non quella di rassicurare i mercati, aggiungendo che se l’esecutivo si trovasse impossibilitato a reperire le risorse per rispettare alcune delle principali promesse elettorali sarebbe meglio “andare a casa”. Composta ma visibile la reazione dei governativi italiani con un allargamento dello spread (10Y) di 5bp (sarebbero di più se calcolati rispetto ai livelli di forza della mattina), in isolamento rispetto al resto degli immutati spread periferici.
La sessione asiatica ha confermato i trend emersi ieri (e più in generale nelle ultime sessioni). Il tono positivo dei mercati azionari è stato ribadito dagli indici del pacifico con la Cina in particolare spolvero: Nikkei +0.9%, Hang Seng +1.8%, Shaghai Composite +2.5%. E il dollaro è rimasto vicino ai minimi di ieri, con l’eccezione del USD/JPY, tornato ad essere barometro sulla direttrice risk-on/off. Oggi la rilevazione preliminare di settembre per gli indici PMI (Francia, Germania, Eurozona) ci darà il polso della fase ciclica in Europa. Il dato flash Markit arriverà nel pomeriggio anche per gli Stati Uniti ma notoriamente è una serie meno seguita (rispetto all’indice ISM di cui non viene pubblicato un dato preliminare) per il monitoraggio dell’economia americana. Buon fine settimana.
Alessandro Balsotti, Strategist e Gestore del JCI FX Macro Fund
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